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6/9/20 - XXIII Domenica t.o. anno A


L'aver creduto nella Parola di Gesù Cristo, quella che ci ha resi individualmente discepoli, tanto da poterci dire di Cristo, cioè cristiani, non ci esime dal posar lo sguardo su "altri" che hanno avuto la stessa fede. Chi sono? Chi siamo? Siamo la Chiesa. Dio in Gesù, il Figlio, non ci ha solo amati personalmente ma come popolo di sua conquista, gente santa perché nel cono di luce della santità di Dio, raccolta (Chiesa!) dal Vento del suo amore. Dovremo così di domenica in domenica parlare di noi, del nostro essere comunità cristiana superando quell'individualismo mondano che è entrato nel nostro essere riuniti falsificando la nostra vera identità.
Diciamo subito, sulla scorta del Vangelo odierno, che essere cristiani-insieme non è idilliaco. La Chiesa è Santa, fatta di gente che non ha rinunciato al Vangelo da vivere ma con i limiti di tutti e talora le colpe che dividono, allontanano, fanno dire a quelli che in chiesa non vengono che siamo peggio degli altri.
Gesù ci ha insegnato che la comunità stessa, intrisa come è dell'amore di Dio che è perdono, si fa superamento delle stesse divisioni. Deve però rimanere quella franchezza, sincerità reciproca che si chiama correzione fraterna, aiuto vicendevole a superare i pregiudizi. Anche in Ezechiele, abbiamo udito, Dio raccomanda questo tipo di amore vicendevole che comprende e affida a Dio il giudizio.
Come Chiesa Gesù ci ha dato un compito: legare tutto quanto troviamo di buono e sciogliere, perché non si magmatizzi, il male di cui facciamo esperienza. Il compito primario dei cristiani poi è la preghiera: portare a Dio gli affanni, le speranze, le gioie, gli sbagli degli uomini e portare al prossimo il Vangelo che è sempre parola di speranza, guarigione, possibilità di vita nuova. Anche Paolo ci ha ricordato: "Non siete debitori di nulla a nessuno se non dell'amore vicendevole" che ha in Dio la sua sorgente.
Ma la cosa più importante è di non presumere che siamo cristiani per una qualche nostra decisione. Se ci decidiamo per Gesù Cristo è perché Lui ci ha amati: "Dove sono due o tre (Gesù non ha previsto, forse, grandi masse, cristiane per tradizione, per geografia, per residuati culturali di una fede carsica) riuniti (il verbo è un participio passivo!) nel mio nome (non sulle nostre peregrine interpretazioni del fatto cristiano!), lì (proprio qui, dunque!) sono io in mezzo a loro".
E se Lui è in mezzo a noi, nulla può farci paura; il coraggio di diventare Chiesa è letto come un dono che fa della nostra individualità relazione capace di amare e sapersi amati.

6/9/20

Letture: Ez 33,7-9; Sal.94; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20


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don Ezio Stermieri
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