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13/12/20 - III Domenica di Avvento anno B


"Fratelli, siate sempre lieti". La Chiesa con la sua liturgia pone questo invito di Paolo come qualifica di questa terza domenica di Avvento.
È un appello quanto mai propizio per noi, gente che ha smarrito la gioia dell'attesa, del diventare, del superare, gente del tutto subito, del "se tanto mi dà tanto", dei conti della serva… È invito quanto mai necessario in questo momento in cui pensiamo lieti Natali che ci rallegravano solo il 7 gennaio, una volta superati, in cui, abituati più alla confezione che al regalo, troviamo triste la confezione di questo Natale, in cui demandiamo a qualcosa che sta fuori la serenità, l'essere interiormente lieti perché nessuna difficoltà è più grande della forza che ci è data per superarla.
Eppure, a quei primi cristiani emarginati, perseguitati, messi a morte, Paolo ripete: siate lieti, pregate, cioè trovate in Dio la forza necessaria.
Francesco a Greggio, per i poveri, gli scarti della società del mercato, inscena il presepe: il Figlio di Dio in una greppia, attorniato da due che non han trovato posto per farlo nascere, un bue e un asinello, perché non c'è notte, non c'è miseria o povertà che Dio non abbia voluto rallegrare con la sua presenza, che con la forza dell'amore e lo Spirito della fraternità non possa superare il gelo della solitudine umana.
C'è dunque una gioia che sta nel desiderio che accompagna la vita in ogni suo momento. La gioia dell'attendere, la gioia del costruire, la gioia che anticipa il domani e si propone di uscire migliorati dal tempo della prova. Abbiamo sentito il Vangelo. Giovanni Battista dichiara che il suo ruolo è di essere testimone di una gioia che sta per entrare nel mondo: "Colui che viene dopo di me: a lui non sono degno di slegare il laccio del sandalo" (è il Figlio!). Ma quella gioia resterà inutile se nel deserto delle innumerevoli nostre povertà soccombiamo, ci scoraggiamo, demandiamo, ci rattristiamo. "Rendete diritta la via del Signore". Senza la gioia di spianare la strada, di liberarci del ciarpame superfluo ritenuto indispensabile, la gioia di essere ognuno responsabile del futuro, il futuro sarà senza Dio, con un Natale del consumo, con l'inutile speranza che qualcosa dia dall'esterno una felicità che deve nascere come gioia dal di dentro.
Non per nulla Colui che viene non metterà mano a rivoluzionare strutture ma a cambiare l'uomo dal di dentro perché costruisca strutture comunicanti la gioia, la bellezza, la bontà della vita. Riascoltiamo e facciamo nostro il canto di Isaia: "Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito (mi ha dato dignità!) delle vesti della salvezza". Non il calzare dello schiavo, del dipendente ma il sandalo del Figlio.

13/12/20

Letture: Is 61,1-2.10-11; Sal.Lc 1,46-50.53-5; 1 Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28


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don Ezio Stermieri
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