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14/3/21 - IV Domenica di Quaresima anno B


C'è una sapienza antica nella liturgia di questa 4a domenica di Quaresima che siamo invitati a ricuperare, noi tendenzialmente dualisti che separano quello che diciamo "bene" e non di rado ci fa male e quanto giudichiamo "male" e invece ha in sé un potenziale di bene.
Posto questo principio nel momento di "mezzo" che stiamo vivendo, tra un passato che non ritornerà e un domani che insieme dobbiamo costruire. Si tratta di portare la gioia della meta nel cammino, la determinazione della conversione del disagio del cambiamento con l'avvertenza di non cadere nella trappola del pensiero di Leopardi che pone l'unica gioia nel sabato e conclude: "diman tristezza e noia recheran l'ore". Lasciamoci guidare dalla Parola di questa domenica, in vista della settimana che la liturgia chiama: laetare, rallegrati Gerusalemme!
Il libro delle Cronache racconta un segmento della storia di Israele, tristissimo. Un tempo la cui caratteristica è la presunzione di poter fare a meno di Dio sino a "moltiplicare le infedeltà", a scadere nella idolatria chiamando Dio il sistema organizzativo del vivere sociale, arrivando a contaminare lo stesso tempo, mettendo a tacere gli avvertimenti dei profeti… Arriva la distruzione della stessa Gerusalemme, l'essere esiliati e diventare schiavi, schiacciati e umiliati dalle loro stesse sicurezze. Ma proprio quel momento negativo riaccende la speranza, il desiderio della libertà, la fiducia che Dio possa intervenire come al tempo dell'esilio in Egitto. Dio non abbandona, non trascura il desiderio dell'uomo e la sicurezza di non essere abbandonato. Ed ecco Ciro nel bel mezzo della tragedia: "Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore suo Dio sia con lui e parta".
La gioia del ritorno, liberi, era in qualche modo presente nell'attesa che non ha disperato. Il Vangelo di Giovanni poi, facendo riferimento alla prova nel deserto, quando il popolo moriva per i serpenti velenosi che l'attraversavano, mette in bocca a Gesù quanto avvenne. Mosè per ordine del Signore elevò un serpente di bronzo e quanti lo guardavano erano salvati. Gesù annuncia di essere lui il segno elevato, causa di salvezza per quanti nell'ora della prova, della croce, dei tanti avvelenamenti dell'esistenza alzano il capo, non si rassegnano, sentono dentro la sicurezza gioiosa che con Lui possiamo raggiungere ogni sicurezza e salvezza: "Chi fa la verità viene verso la luce", pone il suo operare nell'operare di Dio che è forza gioiosa nell'attraversare per giungere alla Terra Promessa.
La conversione necessaria diventa la fede, il punto di appoggio per elevare il mondo. Proprio come dice San Paolo: "Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi ma è dono di Dio". Senza questa premessa, i tentativi umani di autosalvezza finiscono per contraddirsi a vicenda nella lotta per eliminare l'altro a seconda dell'interesse, del guadagno, del potere, della contaminazione del linguaggio. Non mettono la gioia e la forza dell'azione perché non è indicata la meta, il fine della fatica, il futuro di un bene raggiunto ed equamente ridistribuito ma solo il potere del vincitore. Solo il sapersi amati da Dio anche nella prova mette il coraggio e la gioia dell'amare la costruzione comune.

14/3/21

Letture: 2 Cr 36,14-16.19-23; Sal.136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21


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don Ezio Stermieri
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