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2/11/22 - Commemorazione dei defunti


Quanto abbiamo ascoltato dall'apostolo Paolo nella sua Lettera ai cristiani di Roma è opportuno anche per noi, qui a ricordare quanti hanno lasciato il vuoto nelle nostre case, negli affetti più intimi e necessari: "Ci gloriamo in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione".
Sì, abbiamo necessità di riconciliarci con la vita ma non perché la morte è legge di natura e tanto vale rassegnarsi. La riconciliazione di cui parla Paolo è con Dio che non ci ha creati per la morte. Egli "ha riversato nei nostri cuori il suo spirito". Ha posto nella nostra coscienza una speranza che non delude. Ha posto a base della nostra esistenza quell'amore che è a-mors, no alla morte, è balzo verso la pienezza della vita. La nostra esistenza è così dilatazione del pensiero che cerca e domanda, del sentimento che edifica relazioni, della volontà che non si rassegna, del lavoro mai sazio di costruire, della gratuità che qualifica il nostro essere fino ad essere capaci di Dio, meta, premio, realizzazione del dono della vita da riconsegnare.
Gesù Cristo, questo nome, il suo essere vissuto nel tempo e nella vicenda umana, è rivelazione piena ed esaustiva del disegno, del progetto di Dio nel chiamare alla vita l'uomo e così dice Paolo: "Mentre eravamo ancora peccatori", presuntuosi della nostra autosufficienza, rinchiusi nel nostro "io" nonostante l'essere liberi, autoconvinti che la vita ha fine che chiamiamo morte, dimenticando il fine, l'estuario in Dio, nel suo "per sempre" l'estuario dei nostri anni, "Cristo è morto per noi". Ha preso su di sé, ha attraversato il nostro morire, ha abbattuto il muro di separazione e ha portato a compimento il perché della Incarnazione: "Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto Egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno".
Certo non possiamo negare che l'esperienza della morte di una persona cara o il pensiero della nostra stessa morte ci avvicinano a Giobbe che rasenta nella disperazione per la perdita della sicurezza, degli affetti, della salute, la bestemmia: io non sono Dio ma se lo fossi non permetterei il dolore innocente, la solitudine che ci fa sentire persi di fronte al più grande di noi: il furto che la morte compie. Ma come per Giobbe che rimane un esempio, la fede fiduciale in Dio, che non menta che gli si attribuisca quanto è nostra costruzione mentale, ma non il suo disegno su di noi, si apra alle parole del saggio provato ma non vinto: "Dopo che questa pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro". E saremo così nella comunione dei Santi, con i nostri cari dai quali neppure la morte ci avrà separato.

2/11/22

Letture: Gb 19,1.23-27; Sal. 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40


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don Ezio Stermieri
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