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29/4/18 - V Domenica di Pasqua anno B


In questa quinta Domenica di Pasqua è Gesù stesso, il Risorto, a mettere in chiaro in che cosa consiste l'essere coinvolti nella sua risurrezione. Lo fa attraverso una immagine che diventa simbolo: “Io sono la vite vera... Rimanete in me e io in voi”. L'immagine della vite, dei tralci non è nuova nell'Antico Testamento per dire l'unione premurosa di Dio con il suo popolo e non di rado ricorda come Dio, cercando i frutti dell'alleanza, abbia trovato solo fogliame e uva acerba, ma qui, Gesù, parla di vite vera, il cui frutto va al di là del tempo, ne è di mezzo il fine stesso del vivere, il frutto è la vita eterna, la risurrezione. Per questo parla di “molto frutto”. La condizione perché il simbolo tenga unito immagine e realtà è una sola: “che diventiate miei discepoli”. Essere discepolo di Gesù non è dunque solo ispirarsi alla sua dottrina, vivere alcuni momenti della vita nei sacramenti suoi divenuti vita ecclesiale, avere il suo insegnamento come orizzonte per gli snodi che l'esistenza comporta. È consapevolezza “perché – ci ha detto – senza di me non potete far nulla”. È vero che facciamo, diciamo, pensiamo tante cose ogni giorno ma senza di lui cadono in continuo passato, che non ritorna, nel nulla. Solo il Risorto ci ha lasciato quello Spirito che è amore che qualifica ogni azione, scelta, rapporto; si tratta di quella valenza che va oltre la parentesi della vita. Qui nel tempo edifichiamo la nostra vita con Dio, quella eterna. Per questo Giovanni scriveva ai primi cristiani: “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”. Continua: “Abbiamo fiducia in Dio” perché da questo “conosciamo che Egli rimane in noi: dallo Spirito Santo che ci ha dato”.
Vivere, come cristiani, lontani o distratti da questa verità è rendere inutile, marginale, non attraente l'essere cristiani e forse, o senza forse, siamo in parte responsabili che tanta gente risolva il problema del vivere nell'inseguire o nell'essere inseguiti da mille cose di cui non capisce il senso. Basti pensare come oggi in tante famiglie l'educazione dei figli non ha fondamento, orizzonte, metodo, di come la vita civile sia l'arrembaggio per un potere fine a se stesso, dimentico del suo fine: umanizzare, dare qualità al lavoro, al tempo libero, alle relazioni umane. Questa mentalità senza principi, senza valori, senza orizzonti entra anche nella chiesa, nella comunità cristiana e ci fa vivere epidermicamente la fede, la speranza, il vincolo d'amore che ci unisce. Il risultato? È una comunità che non cresce, non porta frutto e dove arriva non unisce intimamente a Cristo e ha perso il modo perché Cristo si unisca fino a fare tutt'uno con il cristiano. Abbiamo sentito il racconto negli Atti, dei primi passi del Cristianesimo, della Chiesa dunque. Come vengano superate le difficoltà, le paure nell'accoglienza, nel discernimento, nel portare avanti la missione ricevuta da Gesù e da Lui prende la forza per ricominciare, andare avanti, crescere in numero e qualità: “La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea, la Samaria”, regioni fino ad allora nemiche; “si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”.
Forse qualcuno può dubitare che questo sia il desiderio, l'attesa, la preghiera anche per questa nostra comunità?

29/4/18

Letture: At 9,26-31; Sal.21; 1 Gv 3,18-24; Gv 15,1-8


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don Ezio Stermieri
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