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21/4/19 - Domenica di Pasqua


Con la narrazione del fatto, siamo condotti oggi, giorno di Pasqua, al cuore e all'incandescenza del dirci cristiani, gente che legge, interpreta, vive l'esistenza in chiave di risurrezione, di passaggio per l'intervento di Dio, da ogni specie di male, di peccato, di scivolamento nella legge della ferocia dell'istinto, della stessa morte, alla nuova prospettiva così ben espressa da Paolo (seconda lettura): "Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù". Guardare alla vita dal suo attracco finale per ricuperarne il valore e misurare la sua relatività, la sua relazione con Cristo "vostra vita – dice l'Apostolo – che quando si sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria".
Quella prima scoperta, il primo giorno della settimana, dopo il dramma dei giorni precedenti, vede protagonista prima una donna, Maria di Magdala, prima apostola che si recò al sepolcro. La scoperta della fede è conseguente un percorso, un cammino che solo il discepolo, il guarito, colui che ha amato Gesù può fare. Entriamo così nel vivo della concitazione del racconto e dei destinatari: Pietro, colui la cui fede era stata posta da Cristo come roccia che sostiene il peso della vita; Giovanni, quello che Gesù amava, annota il testo. È posto in risalto il loro timore: "hanno portato via il Signore". La risurrezione di Gesù è dato sorprendente e non è la loro fede a porlo in qualche modo tra i vivi perché vivo il messaggio, vivi i beneficati, viva l'esemplarità. La concitazione sbocca in una corsa: "Correvano insieme tutti e due". È il correre della fede che chiede verifica e dell'amore che invoca conferma. Vedono i teli, la sindone che non è stata rivoltata: Colui che è assente l'ha passata; il sudario afflosciato. Hanno visto: la materialità di Gesù ha trapassato i teli come divenuta energia. Hanno creduto, pur nella fatica, di trovarsi di fronte ad un fatto capace di cambiare corso alla vita: "Egli doveva risorgere dei morti". La risoluzione finale della storia sperata da Israele in Gesù Cristo è conficcata dentro la storia, la vicenda umana e da quel mattino, ogni otto giorni, il primo della settimana, diventa la ragione dei cristiani per entrare nella loro chiesa per dire "Grazie", per ripetere quanto Gesù aveva fatto il Giovedì Santo. Spezzare il pane è condividere Cristo, bere il suo sangue è avere nel proprio sangue la forza del Risorto, ascoltare la sua parola, il Vangelo, è dare nuovo orizzonte ad ogni settimana della vita, letta come Pasqua, passaggio di Dio-Vita nella nostra vita in una nuova ed eterna alleanza.
Il vivere cristiano, come abbiamo udito dal discorso di Pietro negli atti che raccontano i primi passi della nuova fede (prima lettura), è rendere concreto il suo comando: "Ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che Egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio". Non più i nostri precari giudizi che portano all'assuefazione della bugia, della menzogna, dell'ingiustizia, del tradimento. Non più l'io con il suo egoismo a farsi giudice dei diritti perlopiù senza doveri. Non più il giudizio: si deve morire. È naturale! No. Il Giudizio di Dio è che l'uomo, voluto suo partner e alleato, è degno della figliolanza con Dio e perciò capace di fraternità, capace di dono gratuito, capace di bene. Può, è vero, sbagliare, tradire, retrocedere, smentirsi ma, come abbiamo cantato questa notte nel Preconio Pasquale, raggiungendo il paradosso: "Felice colpa che ci ha meritato una così grande salvezza".

21/4/19

Letture: At 10,34.37-43; Sal. 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9


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don Ezio Stermieri
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