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27/10/19 - XXX Domenica t.o. anno C


Può essere che molti di noi, mi auguro, possano per una volta sorvolare sulla pagina del Vangelo ora ascoltata perché "Gesù disse ancora una parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri". Ma per non esonerarci in fretta, osserviamo a chi si rivolge Gesù: farisei e pubblicani.
Il fariseo nello sguardo di Gesù è il benpensante di tutti i tempi: sicuro della sua cultura perché non ama il confronto, certo della sua morale e comportamento perché usa quel buon senso che solo lui possiede, presume di avere la fede senza verificare se il nucleo decisivo del credere sia Dio e non l'idea che se ne è fatto, un Dio misericordioso, pietoso, lento all'ira e in attesa di chi si è allontanato. Quelli che non sono come lui sono senz'altro in errore, un pericolo, una destabilizzazione da cui difendersi. Eccolo: in piedi (non s'abbassa a nessuno!); ringrazia Dio per non essere come gli altri… Come quel pubblicano!
Il pubblicano è messo ai margini del giusto vivere, scarto del perbenismo ma consapevole! "O Dio, abbi pietà di me peccatore!". Per Gesù siamo di fronte al giusto atteggiamento perché aperto all'unico che rende giusti, aperti alle sorprese di Dio e aperti alla reciprocità, alla pietà, alla consapevolezza che il bene ci sta davanti da costruire e ad ognuno è affidato un compito. Da tutti si può imparare, come fare o come non fare.
Per rifarsi al sapiente dell'Antica Alleanza si lascia Dio che guarda nel cuore il giudizio e non ci si mette al suo posto. Dio non è parziale di fronte ai tanti percorsi della vita umana povera di mille povertà. Ascolta la preghiera dell'oppresso, dell'orfano, della vedova, di chi sfoga il suo lamento e l'essere dei suoi è assicurarsi lo stesso atteggiamento. Essere giusti, continua il saggio, è mettersi dalla parte di Dio per ristabilire giustizia, verità, fedeltà nell'amare, dalla parte di Dio che educa attraverso la vita a fare della sua legge la strada da percorrere.
Non è altro l'impiego dei giorni che ci sono dati. Abbiamo sentito San Paolo come attraverso il suo esempio insegna al discepolo Timoteo: "Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede". Che cos'è dunque la fede, il credere? Avere una idea di Dio che è vasto quanto il nostro comprendonio o partendo dal nostro limite aprire l'intelligenza, il cuore, la volontà, l'azione, dilatandola su quanto Egli ha rivelato e comunicato di sé? Riascoltiamo Paolo: "Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza perché io potessi portare a compimento l'annuncio, la testimonianza del Vangelo".
Come dunque uscire dal tempio dove anche noi, come nella parabola, siamo venuti a pregare? Con tutti i nostri giudizi e pregiudizi perché, pensiamo, che il mondo andrebbe meglio se tutti pensassero, dicessero, facessero come noi o con nel cuore la preghiera a Dio di renderci giusti, proprio quella del salmo: "Il Signore è vicino… non sarà condannato chi in lui si rifugia"?

27/10/19

Letture: Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14


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