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26/1/20 - III Domenica t.o. anno A


Il nostro essere qui qualifica la nostra presenza e il suo perché. Siamo coloro che nel cammino della vita trovano tempo e spazio per fissare la loro attenzione su Gesù. E la pagina del Vangelo di Matteo ascoltata caratterizza tutta la nostra vita. Vediamo un Gesù in movimento: "Lasciò Nazareth e andò ad abitare a Cafarnao", e di luogo in luogo raggiunge anche noi, popolo, per dirla con la pagina evangelica, che abita "nelle tenebre". La sua presenza è luce grande che illumina chi siamo veramente, il senso delle cose di ogni giorno, la ragione del suo raggiungerci.
Chi siamo? È subito detto: "Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini". Noi, portati a pensare che l'essere cristiani sia una scelta nostra che poi decliniamo secondo le ragioni, le esigenze, le voglie del nostro "io", veniamo a sapere che siamo dei chiamati, o, meglio ancora, siamo risposta operosa alla sua chiamata. Non decidiamo noi il da fare, il compito è preciso, essere gente che trae da un'acqua inquinata di una cultura liquida i più che possiamo per metterli nell'acqua limpida che Egli ha portato con la sua venuta. Non ci è chiesto di cambiare operatività. I primi apostoli erano pescatori e seguendo Gesù lo saranno in altro modo e in modo nuovo, come una missione che porta a Cristo sarà la nostra vita.
Ci è detto anche che quei primi chiamati: "lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono". Per seguire Cristo ci vuole un bagaglio leggiero! Chi ha troppe cose, molte delle quali puri riempitivi, troverà sempre una scusa, per quanto banale, per non esserci, per dire: poi, non adesso; per dire: non posso, facciano gli altri. Si rivela dunque necessario, per superare la bassa tensione, l'intermittenza del nostro cristianesimo, fermarsi ad ascoltare, a guardare ed imparare, imitare Gesù.
"Insegnava nelle loro sinagoghe". Non ci si inventa un cristianesimo su un vago discernimento dell'"oggi", ma alla sua scuola. "Annunciava il Vangelo". Attenti dunque che le nostre analisi, le ragioni del nostro operare non si ricavino da altre scuole, anche da quelle che auspicano un cristianesimo che niente ha a che fare con il Vangelo. Guariva ogni sorta di malattia ed infermità. È il criterio di discernimento della nostra missione. Se non guariamo dalle tante malattie che affliggono la mente, l'anima, il corpo, non siamo buoni pescatori. Se non rassicuriamo le varie età della vita non portiamo la bella e buona notizia, ma una o tante delle panacee che promettono ma non sanno rassicurare. Isaia, da par sua, ci dà il criterio dell'aver ascoltato la chiamata ed esser diventati risposta: la gioia: "Hai aumentato la gioia, hai aumentato la letizia, come quando si miete". La gioia di una vita realizzata, vissuta in pienezza. Abbiamo sentito Paolo che dice di sé e lo dice ai cristiani di Corinto: "Cristo mi (ci) ha inviato ad annunciare il Vangelo".
C'è il rischio delle prime comunità. Quello di dividerci, contrapporci, soffermarci sulle nostre ragioni individuali. La divisione è talmente stancante che ben presto ci si disaffeziona dallo stesso Signore. Uniti siamo una forza per il mondo al quale siamo inviati e manteniamo limpida l'acqua dove altri chiamati gustano la vita come dono di Dio.

26/1/20

Letture: Is 8,23-9,2; Sal.26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23


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don Ezio Stermieri
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