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16/2/20 - VI Domenica t.o. anno A


A sentire Matteo nella pagina del Vangelo ora ascoltata, i venuti alla fede della sua comunità, una parte almeno, perché l'altra rimane attaccata alle tradizioni giudaiche, è tentata di pensare che se Gesù Cristo ci ha liberati dal peccato sono superati i lacciuoli della legge; tutto diventa buono quanto è ritenuto bene dal soggetto e nelle varie situazioni. Gente dunque molto vicina alla mentalità di oggi tendente a rifiutare ogni regola che abbia il sapore di una estraneità invadente.
Matteo si fa portatore del pensiero di Gesù: "Non crediate che io sono venuto ad abolire la legge o i profeti. Sono venuto a dare compimento". Il cristiano non è dunque un anarchico, un apolide, un ribelle per la ribellione, un rivoluzionario in nome di utopie. È uno che ha trovato in Gesù, nel Vangelo il perché, il compimento della regola e, senza diventare un leguleio, un parteggiante della legge che schiaccia, umilia, emargina l'uomo debole, fragile, a rischio, magmatizzando in "sistema" l'ingiustizia, alla scuola del Vangelo s'avvede come il pensiero-Gesù ha delle ragioni in più nella valutazione della vita, anche in una cultura frantumata, liquida ed evaporata come quella odierna, dove la ragione è di chi strilla più forte oscillando tra sovranismo e vittimismo.
Gesù pone i criteri per non fare dell'ingiustizia la legge e pone la legge a servizio della giustizia. Primo. Partendo dalla persona: non si può, non si deve adulterare, avvelenare, inquinare l'amore, la reciprocità rendendo l'altro "cosa" o, con il ricatto, ridurlo a propria compensazione. Secondo: lo sguardo, la interpretazione e valutazione delle cose non può essere ricondotto alla parte egoistica del proprio io. Deve imparare il rispetto delle persone e delle "cose". Terzo: l'operatività, la "mano" non può ridursi al progresso unico del proprio "io", ma deve condurre allo sviluppo comune. Non dicendo: tocca agli altri, ma partendo da sé. Occorre dunque l'educazione alla lealtà, alla sincerità, alla responsabilità. All'essere liberi di fronte alle tante tentazioni dei tanti utilitarismi, egoismi, riportando la vita al "sì" quando è "sì" e al "no" quando è no.
Già il Siracide, il saggio che aveva riportato il sapere ebraico alla sua sintesi, suggeriva: "Dio a nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare".
San Paolo poi, ai primi cristiani, tentati di pensarsi discepoli di Cristo ma dipendendo dal pensiero e valutazione del mondo, ricordava: "Ma a noi, Dio ha rivelato il "come" vivere per mezzo dello Spirito. Lo Spirito infatti che rende contemporaneo Gesù conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio".

16/2/20

Letture: Sir 15,16-21; Sal.118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37


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don Ezio Stermieri
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