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19/7/20 - XVI Domenica t.o. anno A


La sequela di Cristo, la sua imitazione, avrebbero detto nei secoli scorsi, qualifica la vita del cristiano, la sua spiritualità. Molte volte nel Vangelo Gesù è chiamato Maestro. Cosa non facile per noi moderni quando la mentalità condivisa è che ognuno è "maestro" di se stesso e nel proprio "io" trova le ragioni del pensiero, della morale, della stessa religiosità o ateismo pratico. E anche se ormai ci accorgiamo dell'inganno. È venuta a mancare la serie dei valori condivisi, perseguiti là dove la nostra individualità deve aprirsi alla socialità. Difficile anche per il cristiano quando la stessa sociologia distingue e separa il "ruolo" che si esercita dallo "status" che definisce il proprio essere. Perfino il genitore 1 e 2 è diventato ruolo, la professione, il lavoro, il servizio esercitato. L'insegnamento di Gesù fa invece tutt'uno con la sua identità.
La pagina di Matteo ora ascoltata lo rivela e questo ha una ricaduta su come intendere l'essere cristiano e la conseguenza sull'agire quotidiano. Uno non fa il cristiano, lo è. Gesù per identificarsi ricorre ad una parola che rivela e comunica Dio stesso: Pastore. "Ebbe compassione perché erano come pecore senza pastore". Di Dio comunica la stessa compassione: il curvarsi sulla miseria e schiavitù umana, ascolta il grido del povero. Libera. Conduce, precede, ha cura. E Gesù, più che preoccupato del fare, invita al riposo stando con Lui, alimento della missione evangelizzatrice dei discepoli. Di Dio in Gesù emerge la sollecitudine per l'umanità senza paratie, identità esclusive, senza selezionare i perché dell'umanità nella ricerca di un senso che solo Dio può pienamente soddisfare. Il brano di Matteo ascoltato conduce alla certezza che il cristiano seguendo Gesù non si accoda ad uno dei tanti maestri, esperti, influenzatori di pensiero che la babele di linguaggi oggi offre in ragione degli interessi intrinseci. Quando tutto è consumo, tutto è pubblicità, tutto è in vendita.
Già Geremia ai suoi tempi aveva denunciato la presenza nelle società dei falsi pastori: agiscono per il proprio interesse, non per servizio e, per meglio raggiungere questo fine, disperdono, dividono, contrappongono. Dice Geremia: non si preoccupano se non del loro interesse economico, politico, di mercato e, Dio non voglia, perfino religioso come purtroppo, oggi, avviene nella stessa Chiesa. Talvolta pare anche oggi di essere senza via di uscita, non è più identificato alcun bene da raggiungere. Tutto è materia da divorare ma il profeta assicura che il Pastore-Dio non abbandona il suo popolo e nuovi pastori sorgeranno. Non "ruoli" a difesa della propria soggettività ma genitori, insegnanti, imprenditori, operai, giovani, anziani, poveri e vecchi che impegnano se stessi per il bene comune. Preti anche che non offrono una dottrina snervata ad uso dello scarso uditorio ma testimoni che per Cristo si può impegnare l'intera esistenza.
In questo senso Gesù è maestro, perché è Pastore, perché è modello. E Paolo riassume l'insegnamento di Gesù divenuto missione: "Dei due ha fatto una sola cosa". Non più Babele ma la fraternità dei discepoli diventa la prova incontrovertibile che dalle strettoie in cui siamo finiti si può uscire!

19/7/20

Letture: Sap 12,13.16-19; Sal. 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43


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don Ezio Stermieri
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