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6/12/20 - II Domenica di Avvento anno B


"Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio". Così comincia Marco il suo Vangelo. Vangelo, Buona notizia, che è Gesù Cristo e lo è perché Dio fatto figlio, divenuto tra noi fratello, inizio di una fraternità universale. E questa è una notizia bella, rallegrante perché è individuata la strada, Lui, si rianima la vita, si apre con il suo Natale un nuovo orizzonte di salvezza.
Egli è il compimento di una linea rossa, una speranza che attraversa tutta la Bibbia che raccoglie la storia di un popolo e il fremito e il punto di ogni cultura, popolo, religiosità di cui il Battista, Giovanni, si fa voce. Nel deserto di una umanità che dissesta l'ambiente in cui vive, nella perdita dei valori umani che precipita in continue guerre, nella solitudine, nell'aridità, nello smarrire di valori unificanti, grida: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri". Egli nel Giordano immerge (battezza) perché ognuno, sciolte le incrostazioni, la sporcizia che deformano e deturpano la dignità di uomo, ricuperi la propria fisionomia: immagine di Dio. Ma proclama che l'attesa ha trovato il suo sbocco: "Viene colui che è più forte. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo".
Immersi dunque nello Spirito di Dio, fuoco che illumina la notte che blocca nella paura; vento che raduna, sospinge, attrae, dà al nostro essere polvere la forma di un popolo salvato da Colui che viene come Salvatore; rugiada che rinfresca e feconda l'arrestarsi della intelligenza, l'inaridirsi dell'amore, la stanchezza afflosciata del vivere. Il tempo che stiamo vivendo di Avvento ci avverte dunque che la sua venuta, il suo Natale è più decisivo delle forme in cui vorremmo viverlo, tra regali, cenone, compere, viaggi… e, purtroppo, ci sembra che senza l'arredo non ci sia il luogo, il cuore in cui riceverlo.
Non che le modalità non abbiano la loro importanza, l'uomo vive di riti, ma il rito rimanda a qualcosa di più incisivo, necessario, vitale in qualunque situazione, età, condizione si vive. Dice bene Isaia: "Parlate al cuore di Gerusalemme!". Abbiamo bisogno di ascoltare con tutto il nostro essere che cosa, ogni anno, Dio rinnova per noi: "Consolate, consolate il mio popolo e gridatele che la sua tribolazione è alla fine, la sua colpa è scontata". Proprio per questo Dio si è fatto uomo, di carne, visibile e incontrabile, storia della nostra storia. Sprofondato ognuno nella sua solitudine, Egli viene e fa di noi popolo, popolo di Dio, sua Chiesa, luogo della consolazione. Egli viene e ci dice una verità consolante: la nostra colpa, passato, lo inchioda alla Croce e ci mette dentro il brivido, la voglia, la fretta del tanto bene che ognuno e insieme possiamo costruire. "Come un pastore… porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri".

6/12/20

Letture: Is 40,1-5.9-11; Sal.84; 2 Pt 3,8-14; Mc 1,1-8


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don Ezio Stermieri
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