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25/12/20 - NATALE DEL SIGNORE


Messa del giorno

Azzardo un giudizio. I pensieri, le invadenti ansie che ci hanno accompagnato al Natale, questo Natale 2020, non sono sufficienti per comprendere il senso di questo "giorno" e sottrarlo alla depressione dilagante per ricuperare la forza intrinseca all'avvenimento: Dio che si compromette con la storia, ci restituisce all'immagine dell'uomo, fatto a somiglianza di Dio e Colui che nasce si offre specchio di confronto.
Isaia, portando con sé l'affanno dell'umanità, la speranza di un popolo di vedere Dio divenuto ordito della sua cultura, lo vede anticipatamente: "Come sono belli i piedi del messaggero che annuncia la pace". Ne vede dunque il cammino verso di noi, lo vede come Dio camminatore sulle nostre strade e noi lo riconosciamo in ogni pagina di Vangelo, in Gesù che avanzando guarisce, rivelando quanto siamo cari a Dio, entrando in ogni villaggio annuncia il Regno, la Signoria di Dio più forte di ogni male, della stessa morte, alla ricerca di chiunque si sia smarrito, pronto a portare su di sé il nostro peccato di presunzione e assicurandosi, risorto, che avremo parte con Lui nella gioia di Dio. Ed ecco l'invito così lontano dalle nostre preoccupazioni: "Prorompente insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme".
Giovanni, l'evangelista, nel prologo del Vangelo, offre un orizzonte nuovo di comprensione della vita, sorprendente per noi smarriti nel cosmo, nelle galassie senza numero, che, persa la cosmologia che regge il pensiero dello spazio e del tempo con il suo geocentrismo e antropocentrismo, avvertiamo della vita la sola nausea dell'essere gettati. In principio, all'inizio era il Verbo che crea, la parola: amore, come categoria che interpreta la vita. "Tutto è stato fatto per mezzo di Lui". È Lui che illumina la nostra vita. Il "centro" di tutto è proprio dove ognuno si trova e "le tenebre non l'hanno vinto".
Siamo alla prova di questa verità, la verità di questo giorno che illumina ogni giorno dell'esistenza, lo stesso giorno della morte: "Il Verbo si fece carne". Notate bene: non "uomo" ma la salvezza parte dalla nostra precarietà, il nostro essere deboli, fragili, in balia di un qualsiasi virus che mette in crisi il nostro progresso.
"Venne ad abitare in mezzo a noi". Non più una idea di Dio, una paura congenita, lo smascheramento della nostra impotenza ma alleato del nostro cercare, del nostro costruire, dell'immane fatica nel superare le prove di una natura ribelle, di una storia maligna, di una umanità incline al ribasso dell'istintività.
"E noi abbiamo visto la sua gloria". Ritorna facile la parola dell'Antico Testamento: la gloria di Dio è l'uomo vivente. Siamo noi se ci mettiamo alla sua scuola, se, senza demandare, prolunghiamo il suo operare verso i piccoli, i deboli, i meno fortunati, i poveri di ogni povertà. Non c'è altra strada perché quel mondo che vorremmo diventi pian piano realtà.
Ce lo ha ricordato il primo catechismo dei cristiani, la lettera agli Ebrei. Dio molte volte ha parlato, e l'uomo non ha perso coscienza di Lui e mai come quando lo nega lo afferma. Ma "da ultimo ha parlato a noi per mezzo del Figlio". Oggi, Natale, la sua nascita è la parola più bella, più confortante detta da Dio sull'uomo. Si è fatto piccolo perché nessuno abbia timore nell'avvicinarlo; si è fatto bisognoso come ogni piccolo per dirci che ciò che quanto Egli reca non si realizza senza le nostre mani, la nostra intelligenza, il nostro cuore. È nato fuori della Città perché siamo noi a portarlo dentro e ritornando per un attimo a ieri e domani delle nostre preoccupazioni abbiamo a confessare: ci sei necessario!

25/12/20

Letture: Is 52,7-10; Sal. 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18


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don Ezio Stermieri
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