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7/2/21 - V Domenica t.o. anno B


Nulla è per caso nella narrazione di Marco. Prendiamo il brano appena ascoltato. "Gesù uscito dalla sinagoga". Fa parte della sua missione l'ascolto e l'attualizzazione della Scrittura, consapevole di esserne l'interprete autentico. È la rivelazione del Regno di Dio. "Subito andò nella casa di Simone". È nel concreto vivere degli uomini che la Parola che guarisce, libera, restituisce alla pienezza della vita che è servizio.
Con la forza di Dio guarisce la suocera di Pietro e subito è un assembrarsi di malati, una umanità dolorante attratta da Colui, il solo, che può salvare. "Tutti ti cercano!". Ma c'è nel racconto un particolare che, messo in rilievo, può aiutarci nel nostro oggi. "La suocera era a letto con la febbre". La febbre è un sintomo, non è il male, rimanda al male che pone il fisico in reazione. Ecco, il momento che viviamo ci rende febbricitanti. Alcuni malati di potere vanno in delirio, altri rimangono reclusi e immobili, altri ancora sperano in qualcosa che abbatta la febbre… Pochi si interrogano su quale male possa averla scatenata. Qual è il male che ci attanaglia? Una ridda di esperti diagnostica le più svariate cause. L'incuria verso l'ambiente? La globalizzazione che ha elevato muri, ha messo in crisi sistemi economici, politici, sociali dati per collaudati? Un tipo di informazione frastornante che non riesce a dare formazione al vivere personale e comunitario? Ai mali di sempre si aggiungono mali nuovi, recenti di fronte ai quali perfino la scienza è divisa e divisiva. Si potrebbe continuare ma è meglio ritornare alla pagina evangelica. "Egli si avvicinò" (e il verbo non è casuale). Abbiamo smarrito la vicinanza di Dio e l'uomo si è sentito solo, abbandonato, impotente, da solo, di uscire dalla sabbia mobile che sembra tutto ingoiare.
"Prendendola per mano". Lo struggente bisogno di prenderci per mano rimane impossibile di fronte alla tentazione di far prevalere il proprio io sul noi dentro alla stessa barca. L'unica mano che ci può guarire è quella di Cristo perché è il solo che ci offre la medicina, il vaccino giusto. "La febbre la lasciò ed ella li serviva". Ecco la medicina che guarisce: il servizio. Solo uscendo dalle proprie febbrili paure, solo mettendoci, ognuno al proprio posto, a servizio del futuro da costruire, senza le nostalgie di un passato egoistico che ci ha portato alla febbre, al malessere che viviamo, possiamo guarire. Le nazioni, le culture, in piccolo, le famiglie, le persone hanno pensato che non servendo ma servendosi sarebbero stati in salute e… ci siamo ammalati di solitudine con i suoi fantasmi e deliri.
Il libro di Giobbe di cui abbiamo sentito un tratto è lì a dimostrare la situazione esistenziale dell'uomo che quando si riduce a mercenario, al solo individuale profitto e guadagno, non trova più riposo né di giorno, né di notte e si ammala: "La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all'alba".
Abbiamo sentito come Paolo parla ai primi cristiani di Corinto, anch'essi febbricitanti perché vivono in una Città dove il mercato, il guadagno, l'accaparrare è tutto. Sono cristiani ma anch'essi hanno la febbre. E Paolo mette in comune il suo programma di vita da quando Cristo l'ha disarcionato e poi preso per mano: "Pur essendo libero da tutti mi sono fatto servo di tutti. Mi sono fatto debole per i deboli, mi sono fatto tutto per tutti, per salvare qualcuno".
E continua: "Tutto io faccio per il Vangelo". Fortunati noi se questa Parola-medicina domenicale non è ridotta a rito senz'anima, a tempo impiegato se non c'è altro di più immediata utilità ma diventa il vaccino (per usare una parola carica di speranza) che ci rende immuni dal male dello spirito e ci restituisce al servizio, alla vita, a quel "noi" condizione per apprezzare la vita.

7/2/21

Letture: Gb 7,1-4.6-7; Sal.146; 1 Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39


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don Ezio Stermieri
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