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14/2/21 - VI Domenica t.o. anno B


Chi ha una certa consuetudine e confidenza con il Vangelo di Marco, ben presto constata come il suo narrare privilegi i primi piani del parlare e dell'agire di Gesù: la bocca, gli occhi, le mani. Sembra quasi che Marco spinga non al solo ascolto ma ad entrare nella pagina, nell'azione del racconto. Prendiamo il testo or ora ascoltato. È come se dicesse che è ognuno di noi quel lebbroso, l'uomo che ha perso la propria identità, sfigurato il suo essere immagine di Dio, l'uomo emarginato per legge perché malato, fino a diventare reciproco scarto. "Venne da Gesù". Quel movimento sollecita il nostro. Non basta che Dio si sia incarnato, abbia annullato le distanze. È in questione la nostra libertà decisionale perché prendiamo atto di aver squilibrato il nostro essere uomini, da soli non possiamo essere restituiti a noi stessi. Dobbiamo supplicare in ginocchio, decisi dunque e non nostalgici, rivolgerci al Signore.
Notate il primo piano della regia di Marco: "Ne ebbe compassione", una parola che si può riferire solo a Dio venuto in Gesù a patire con noi. "Tese la mano". Siamo riportati all'atto creativo di Dio e dunque Gesù ri-crea, riporta allo stato originale. "Lo toccò e gli disse: lo voglio, sii purificato". Siamo ad un punto altissimo della rivelazione di chi è Gesù, di chi siamo noi spogliati delle illusioni e del risultato dell'incontro con Lui. "E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato".
Questa restituzione di noi a noi stessi non ha come fine la guarigione in se stessa. La guarigione è per essere restituiti alla comunità umana perché l'uomo vive di relazione, di comunione, di reciprocità e senza questa dimensione esistenziale è destinato ad una serie infinita di malattie. "Va', mostrati al sacerdote", il garante dell'avvenuta guarigione e del dovuto inserimento.
Una interpretazione individualista della fede, preoccupata solo dei suoi "bubù", del farsi dei meriti davanti a Dio diventerà ben presto, nella preghiera, nella confessione, un trito e ritrito elenco dei sensi di colpa. Gesù guarisce per restituirci!
Anche nell'Antico Testamento il malato di lebbra era escluso dal contesto civile e il Levitico precisava: "Sarà impuro, se ne starà da solo, abiterà fuori dell'accampamento finché durerà in lui il male".
Ancora una volta dunque si impone la domanda di come vivere il Vangelo pagina per pagina perché non basta entrare da spettatori nel racconto, bisogna uscirne perché il Vangelo è un indicatore della vita. Proprio come quel lebbroso che non potrà tenere per sé, tacere su quello che è avvenuto perché anche altri possano essere guariti.
Proprio come Paolo esortava la prima comunità cristiana, osando raccomandare, non per orgoglio, ma per esperienza: "Senza cercare il mio interesse, ma quello di molti, io mi sforzo di piacere a tutti in tutto perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo". Ce n'è a sufficienza per ripensare tutto il nostro cristianesimo personale-soggettivo e personale-comunitario.

14/2/21

Letture: Lv 13,1-2.45-46; Sal.31; 1 Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45


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don Ezio Stermieri
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