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13/2/22 - VI Domenica t.o. anno C


La chiamata a stringerci attorno alla Parola che è Cristo implica una sequela perché Gesù è un profeta itinerante che raggiunge l'uomo sulla strada della vita. La sequela dice appartenenza al Regno che Gesù Cristo è venuto ad annunciare, regno che ha uno statuto, una costituzione, un codice per attuare una civiltà e un codice "penale". Per dirla con Luca nell'odierna pagina di Vangelo: un "beati" e un "guai". Siamo di fronte alla legge che garantisce identità ai cittadini del nuovo ordine per un nuovo umanesimo.
Gesù individua quattro leggi cardine, leggi esistenziali più che norme morali, conseguenti. La legge della povertà: Beati voi poveri… guai a voi ricchi. Potremmo fraintendere perché la lotta alla povertà fa parte della giustizia sociale e sono stati i regimi che hanno promesso, una volta avuto il potere, di abolire la povertà. Gesù, assicurato che i poveri li avremo sempre e la prima giustizia è la promozione umana, vede la povertà come agente propulsore verso una migliore intelligenza, verso un benessere condiviso, verso una più ampia partecipata democrazia. Il ricco invece è inguaiato perché narcisistico e sazio delle sue idee, vive con il demone che lo tortura: di non averne abbastanza. Dunque, felici, beati se le tante povertà emergenti sono lo stimolo per un impegno condiviso. Beati se la nostra povertà di tempo, di valori ci apre a Dio sorgente di eternità e sommo bene.
Lo stesso vale per la legge universale del pianto, marcatore di solitudine e di mancanza di parole per esprimere il dolore. È dilatatore del cuore umano. Può diventare sorgente di condivisione. Quello che passa la vita a ridere delle disgrazie altrui non può ridere all'infinito.
Quando poi come cristiani, come Chiesa, siamo messi al bando. "Beati!" perché la critica, anche immeritata, stimola al meglio. La menzogna organizzata smaschera il potere della bugia. Da questo statuto ne esce l'identità del cristiano, del cittadino di un Regno che non si esaurisce nelle circostanze della vita; è dei Cieli e contemporaneamente ogni situazione, anche la meno augurabile, è sorgente di nuova creatività personale e collettiva.
Detto con la saggezza dell'Antico Testamento, con la profezia di Geremia: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo". Sperare che la società, il prossimo ci faccia giustizia è infilarsi nella delusione. Meglio anche dal male trarre il bene. Benedetto l'uomo che confida nel Signore perché tutto è occasione per produrre frutto. Certo che se tutto si esaurisce nei pochi decenni per poi finire ha una parte di ragione chi si fa giustizia da solo. Se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, ci ricorda San Paolo, allora il criterio della beatitudine o del fallimento si presenta su orizzonti più ampi, orizzonte di beatitudine che ha il suo riverbero sulle difficili leggi del vivere.

13/2/22

Letture: Ger 17,5-8; Sal 1; 1 Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26


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don Ezio Stermieri
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