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13/3/22 - II Domenica di Quaresima anno C


La memoria che si fa racconto per la prima comunità cristiana di un fatto della vita di Gesù diventa anche per noi, oggi, il fermarsi nel cammino quaresimale in salita e ricuperare una dimensione essenziale al sapersi cristiani. Il fatto che Luca racconta, ma anche gli altri sinottici, è di quando Gesù con tre discepoli salì sul monte a pregare e Pietro, Giacomo e Giovanni videro "oltre" l'apparenza del Maestro che avevano seguito, il guaritore dei tanti mali che affliggono l'umanità: "Il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante".
Vedono in Lui la verità della persona: il Cristo! La sintesi, il compimento dell'attesa e della speranza (Mosé ed Elia) e la divinità della sua persona (l'abito sfolgorante). Vedono in Lui il Risorto, il destino del nostro essere uomini: la vita per sempre di Dio, il Profeta, il Figlio, l'Amato da ascoltare come verità ultima sull'uomo. Raggiunti dalla bellezza la vorrebbero fermare e così saltare l'altro monte: il Calvario, la Croce, la via della momentanea sconfitta. Il fatto e la verità che include è per noi, tentati a concludere che la verità sulla vita è quanto constatiamo o (meglio) i poteri mediati fanno vedere, fino alle infinite verità dei social. La verità sarebbe che abbiamo coscienza di esserci, non c'eravamo e non ci saremo più. Se non saliamo per vedere dall'Alto, dal monte, dal rapporto con Dio non sappiamo vedere oltre l'immagine senza dunque trasfigurazione.
Abbiamo dimenticato la profondità dell'intelligenza che ci è stata data: analizziamo l'apparenza allo sfinimento ma non sappiamo più intus-legere, andar oltre l'epidermide delle cose e delle persone. La verità allora diventa la guerra degli interessi e non sappiamo più vedere che l'uomo è capace di dialogo, bisognoso di pace.
Ci accontentiamo di giudicare secondo le apparenze di latitudine nel mondo, di classe sociale, di sicurezza o povertà giudicata colpevole. Non sappiamo vedere di ogni uomo la sua dignità. Perfino della religione leggiamo solo le valenze politiche, di potere, non sappiamo cogliere l'essenza: l'alleanza con Dio per costruire una storia di salvezza.
Diciamolo: valutiamo materialisticamente, edonisticamente, egoisticamente; trascuriamo il valore dello spirito, la qualità, il senso, il valore della nostra esistenza e il suo estuario nell'eterno nonostante che sia intrinseco all'uomo l'andar oltre, il superare, il diventare, l'anelito e il desiderio a superare il muro della morte, la siepe che all'ultimo orizzonte il sguardo esclude.
Abbiamo bisogno di sapere, di reimparare l'Alleanza che da Abramo in poi attraversa l'umanità di Dio che tiene insieme con il suo fuoco d'amore la dualità di corpo e anima, materia e spirito, constatazione e intelligenza così drammaticamente descritta (prima lettura) fin dalla Genesi, dall'inizio dell'uomo.
Paolo ci ha ricordato che qui siamo di passaggio, pellegrini, non abbiamo stabile dimora ma non per questo siamo dei falliti o destinati al fallimento di una morte che lascia il posto ad altri mortali: "La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso". Questa verità è dirimente la nostra concezione della vita e forse, o senza forse, tutti abbiamo bisogno di conversione.

13/3/22

Letture: Gn 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3 17-4,1; Lc 9,28-36


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