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15/4/22 - Venerdì Santo - "in Passione Domini"


Solo davanti alla Croce e al Crocefisso: Gesù, il Figlio che giunto all'Ora per cui è venuto e, secondo la sua parola, elevato da terra ci attira a sé, comprendiamo la verità di questo giorno, Venerdì Santo, sulla nostra vita e il nostro morire.
Che cosa vediamo? Il Verbo eterno, il Signore immortale ha unito a sé il nostro essere di carne, la nostra precarietà, le sconfitte, i dolori della vita terrena, le catastrofi umanitarie delle guerre, degli esiliati, delle lacrime, delle inutili stragi, delle speranze deluse, delle orfananze disperate dei bambini innocenti fino alle miserie al di dentro delle nostre case e dei nostri affetti… E, come abbiamo ora sentito nella Passione di Giovanni, ci inonda del suo Spirito (paredoken to pneuma!) che inibisce e impedisce l'arresa. La Croce non è più condanna ingiusta e infame ma slancio di risurrezione: conforto, forza, amore che vince la morte, legame nuovo con Dio, qualità della vita che sboccia a nuova solidarietà e fraternità, fa fiorire il "meglio" che Dio ha posto nel cuore del nostro essere di carne.
La domanda che attraversa la storia e che pone una ipoteca sullo stesso Dio: "dove sei?" ha finalmente risposta: è con ogni uomo, donna, bambino, malato crocifisso. È nei campi di concentramento di ieri e di oggi. È sul mare con i fuggitivi, davanti ai fili spinati conficcati da un'Europa autoreferenziale faro di civiltà; è nel malato ridotto a protocollo, nel ragazzo a cui è negato il futuro e appiattito su un presente di alcol e di droga, è con il cittadino ridotto a suddito. È dove, dice Isaia, l'uomo perde la sua immagine di figlio e fratello della famiglia umana, è nei campi seminati di mine vendute per prolungare le guerre.
"Ecco l'uomo", dice Pilato di Gesù passato da un processo all'altro nella notte, flagellato, incoronato di spine, svestito delle sue vesti e deriso come un re da maschera, un pagliaccio. È lì davanti ad un potere politico politicante che se ne lava le mani, incapaci di assumersi le proprie responsabilità. E il grido che si alza: "sia crocifisso" è di una piazza che ormai vede, anzi, vuole quanto si è voluto altrove: un popolo divenuto massa urlante.
Ma quanto Isaia aveva visto di Lui: "Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce", è detto dunque anche della nostra povera umanità. Egli si è legato alla nostra storia corrotta perché fossimo partecipi del suo destino. Ce lo ha ricordato la Lettera agli Ebrei: "Manteniamo ferma la nostra professione di fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi". "Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della Grazia per ricevere misericordia", per avere futuro, per non arrenderci, per ripartire con il suo Spirito, il suo amore gratuito.
La sua, la nostra croce di ogni giorno da strumento di condanna diventa trono dove il Re, dove noi ritornati signori e non schiavi del tempo e della vita, tronchiamo il male rispondendo con il bene, con i doni di intelligenza, di cuore, di buon volere, di fraternità, di dialogo paziente che fa ritornare la terra il giardino nel quale Dio ci aveva posto e Cristo rimane sepolto, solidale con noi, e risorto segnando il nostro futuro non più di mortali ma di tracimanti vita piena ed eterna.

15/4/22

Letture: Is 52,13-53,12; Sal.30; Eb 4,14-16;5,7-9; Gv 18,1-19,42


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