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17/4/22 - Domenica di Pasqua


La ragione più profonda della chiamata ad essere in festa è nella Parola stessa: Pasqua. Vuol dire passaggio. Non siamo dunque inchiodati alla corruzione dell'habitat nel quale viviamo. Possiamo muoverci con responsabilità perché la terra ridiventi quel giardino nel quale Dio ha posto l'uomo affinché, rispettandone le leggi, possa progredire. Non siamo crocifissi ad una storia di guerre, di bombe, di esili, di pianto dove il male di vivere diventa la legge. Dio ha posto nell'uomo il movimento del dialogo, della ricerca del bene comune, della convivenza fraterna. Non siamo costretti al male come se ci costituisse necessariamente. La difesa della propria identità non reclama aggressività, belluinità; l'uomo è chiamato alla relazione, all'accoglienza, alla solidarietà.
La ragione del passaggio dalla selvatichezza all'umanità, noi cristiani, l'afferriamo oggi nel passaggio di Cristo dalla morte alla vita, dalla condanna alla crocifissione fuori della Città al suo rientro, vivo, per dirci che anche noi possiamo e dobbiamo risorgere e fare della nostra vita l'esempio, la testimonianza che questo è possibile, è necessario perché o l'umanità metterà fine alle tante guerre o sarà la guerra, la inimicizia, l'odio, la prepotenza, l'egoistico interesse a mettere fine all'umanità.
La possibilità San Paolo la racchiude in un'unica condizione: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù". Ecco il passaggio! Non siamo solo di quaggiù con i bisogni primari della vita che ci tentano alla sola materialità dell'avere, del potere, del godere. Si tratta di vederci dal punto di vista di Dio che ci ha dato uno spirito, una qualità del vivere, un attracco della vita che va oltre il breve tempo che viviamo. Bisogna vivere da risorti, da ricomincianti, da camminatori pellegrini guardando la vita da ciò che saremo per sempre: la nostra vita è nascosta e si rivela pienamente solo alla luce di Dio.
Gente, allora, che non ascolta solo se stessa ma si pone in ascolto, ode il lamento di chi rimane indietro e lo fa non solo per un dovere umano ma perché uditore di quella Parola che ha rovesciato i criteri di valutazione. Abbiamo sentito Pietro: "Dio ha risanato tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo. Quel Gesù appeso ad una croce, Dio lo ha risuscitato!". C'è un "ma", il "ma" di Dio che non si rassegna che viviamo da sconfitti: ha ordinato di annunciare e testimoniare che Egli (non altro, o altri!) è giudice dei vivi e dei morti. Chiunque crede in Lui è in quel movimento dello Spirito che fa nuove tutte le cose.
Recuperiamo il tempo perduto, le situazioni in cui ci siamo bloccati, arrestati, sfiduciati, come se l'essere stati iniziati alla fede fosse cosa da bambini o da vecchi, da delusi o illusi. Se è necessario, come Pietro e Giovanni, corriamo a renderci conto che anche oggi nulla è più vivo, necessario, risolutivo di Cristo. Corriamo spinti dalla fede ricevuta e dall'amore che attrae e convince. Poniamo a sostegno della vita la Pietra, Cristo, sulla quale costruire la casa e il suo futuro. Non vergogniamoci di essere cristiani, anzi trasmettiamo la bellezza e grandezza del Vangelo che raccoglie nelle parole e nella vita del Figlio morto e risorto per noi il disegno del Padre e ci immette la rugiada e l'ebbrezza dello Spirito che inonda di risurrezione ogni giorno di vita.

17/4/22

Letture: At 10,34.37-43; Sal. 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9


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don Ezio Stermieri
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