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14/5/23 - VI Domenica di Pasqua, anno A


È ritornante nella Bibbia per esprimere la lontananza da Dio del popolo eletto (cifra della intera umanità) il tradimento e l'infedeltà della alleanza in termini di vedovanza. Abbandonato lo Sposo, Dio, si è in balia di ogni idolatria, magia per riempire il vuoto, superstizione per neutralizzare i nemici pronti ad ogni assalto.
Gesù dirà di sé di essere lo Sposo per una nuova ed eterna alleanza. Altro termine usato per dire la presunzione di fare a meno di Dio, Padre, è orfananza. Abolito il rapporto con il Padre è persa la fraternità, l'appartenenza alla famiglia umana. Ecco le guerre fratricide a difesa del proprio "io", il dominio e la violenza sul creato, la paura e la solitudine, le alleanze interessate, la perdita della nozione di "popolo" e il pullulare delle più svariate forme di razzismo.
Le parole di Gesù or ora ascoltate: "Non vi lascerò orfani, verrò da voi" acquistano così il pieno significato della sua incarnazione, della realizzazione del piano consegnatogli dal Padre, il dono del suo Spirito per ricompattare l'umanità e il suo vivere in pace, non quella precaria del mercato o del potere ma quella che solo Dio può dare: "Chi ama me – dice Gesù – sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui".
Il tempo della Pasqua che viviamo segna così il passaggio da un mondo orfano ad una umanità amata, sposa. Non più schiava, serva e tentata di infedeltà ma fedele alla vita, feconda nel bene, premurosa nella carità, ritornata ad aver cura del debole, dell'indifeso, dell'orfano e della vedova. È il nuovo popolo di Dio in cammino nella storia come la prima Chiesa, i primi che si sono stretti attorno a Cristo. "E le folle – abbiamo sentito (prima lettura) – prestavano attenzione", vedevano i segni di una umanità che non è condannata al difendersi da possibili eventuali nemici ma, piena dello Spirito del Risorto, semina nella pasta del mondo il lievito della carità, gli enzimi della risurrezione. Tanti, anche oggi, attendono, sperano di essere liberati e guariti dallo spirito che attanaglia nella disperazione. Tanti anche oggi debbono e possono riprendere a camminare, ad avere dunque fiducia e speranza nella vita grazie a quell'amore responsabile e fraterno di cui ogni comunità ritorna ad essere luogo, segno, laboratorio per portare il fermento del Vangelo all'uomo che lavora, studia, ama, soffre e gioisce se non si sente emarginato: orfano, solo: non amato da nessuno.
Non possiamo essere pronti per una missione così grande e oggi difficile: "pronti a rispondere sempre a chiunque domandi la ragione della nostra speranza" (seconda lettura) se non adoriamo il Signore, se non partiamo da Lui, se siamo avari nel dare a Lui tempo e spazio. Ma lo stare con Lui ci insegna la dolcezza, il rispetto, ci educa ad una coscienza retta e non interessata o permalosa. Impariamo perfino, da Lui, che è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, quel male che tenta quando ci sentiamo orfani o come Chiesa non ci sentiamo la sposa amata e che ama lo Sposo.

14/5/23

Letture: At 8,5-8.14-17; Sal.65; 1 Pt 3,15-18; Gv 14,15-21


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don Ezio Stermieri
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