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2/11/23 - Commemorazione dei defunti


La Parola di Dio in questo giorno: commemorazione dei nostri morti, si apre con il grido di Giobbe, l'uomo che rappresenta ogni uomo di fronte alla disfatta della vita nel tempo. Aggredito dalle disgrazie: la perdita della roba e dunque della sicurezza del vivere, l'uccisione di tutti i suoi figli e dunque dei legami affettivi e di speranza, divorato da un cancro della pelle, nella solitudine più disperante: la moglie gli dice: maledice Dio e muori! Arriva perfino a dire che l'unica gioia è la vista di una tomba perché allora la pena del vivere non è all'infinito, resiste e afferma: "Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro". Siamo dunque al superamento che quanto rimane di noi è la memoria finché dura, o il ricongiungersi con la vita della materia che ci costituisce. C'è nel nostro "io" quello Spirito insufflato da Dio, l'eterno che ci ricongiungerà a Lui. La vita nel tempo ha il suo estuario nella vita eterna di Dio che ha chiamato ciascuno all'esistenza.
Questa fiducia a cui, non senza fatica, l'uomo biblico dell'Antico Testamento arriva, trova nel Vangelo di Gesù, nel perché della sua vita, morte che si fa carico della nostra morte e nella sua risurrezione, anticipazione del nostro destino, il terreno della speranza non utopica del fatto cristiano.
Ecco perché, ai primi cristiani di Roma, Paolo può affermare: "La speranza non delude perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato". E così quel momento, che segna il distacco dalla terra ma anche la vita nuova, illumina, dà senso e valore a ciascuna delle nostre vite, quella dei nostri cari, ai nomi che tra poco ricorderemo. Tutto ciò che è stato vissuto, trasmesso, patito e donato, nella gioia o nella prova, non muore. Dio è Amore e la morte è sconfitta dall'amore come ricorda il Cantico dei Cantici: le acque copiose che sembrano annegare la nostra precarietà non hanno potuto estinguere il fuoco dell'amore. Sì, quello concreto, quotidiano che ha intessuto i nostri rapporti famigliari.
La Parola di Gesù che abbiamo or ora ascoltata dal Vangelo di Giovanni diventa la verità più vera, esauriente, rassicurante la nostra vita e quella di quelli che noi diciamo morti: "Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in Lui, abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
Questa è la ragione più autentica del fare il nome dei nostri cari: la celebrazione riassuntiva della vita e della morte, della speranza e dell'attesa: il "Grazie" in contraccambio.

2/11/23

Letture: Gb 19,1.23-27; Sal. 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40


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don Ezio Stermieri
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