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23/10/16 - XXX Domenica t.o. anno C


Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, lo abbiamo ripetuto ogni domenica, è in riferimento al viaggio della nostra vita divenuta cristiana perché lo seguiamo. Seguiamo la sua Parola per poterlo imitare nella sua esemplarità. I suoi insegnamenti rivelano quanto Egli conosca in profondità, fino alle sue radici, il cuore dell'uomo. Un esempio tratto dalla vita per "alcuni che avevano (hanno!) l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri". Questa presunzione, oggi, non è più di alcuni, è generalizzata. A livello politico, ma è solo un esempio, oggi non conta più il da farsi e il come fare; è prioritario non essere come gli altri, e l'accusa, il sospetto, lo scandalo rimbalza uguale da un campo all'altro: ladri, ingiusti, adulteri, corrotti. E, dice Gesù, quest'erba che avvelena tutto, questa morale del "meglio così che…", la presunzione della propria superiorità che tutto demolisce e nulla sa costruire arriva fino al tempio, non arrossisce neanche davanti a Dio: io so digiunare, pago le decime, non sono come questo pubblicano, oggi lo tradurremmo: questo politicamente scorretto.
Gesù invece ci tiene a sottolineare che quanto va a fare a Gerusalemme: sostituirsi all'uomo peccatore prendendo su di sé il debito affinché l'uomo ritorni libero nel pensare, sentire, fare il bene… è per tutti. Nessuno davanti a Dio ma anche di fronte all'altro è autorizzato a dire: io sono giusto! Possiamo tutti, ognuno con le proprie capacità cercare il bene, il giusto, il vero, il bello comune. Conclude Gesù e chi ha già vissuto un un po' sa che ha ragione: chiunque si esalta sarà umiliato: gli armadi prima o poi si aprono… Chi invece si umilia riconosce che siamo fatti di humus, siamo precari… Dio lo esalterà perché riconoscere la propria pochezza è aprirsi a Dio che con la Croce del Figlio ci ha riportati alla vera statura.
Proprio come dice il Saggio di Israele: "Dio non fa preferenza di persone, non è parziale" e se per salvare deve partire da qualche parte comincia da chi avverte la propria povertà, fa della propria miseria una preghiera che attraversa le nubi: l'Altissimo non desiste dall'intervenire.
Paolo che è passato dalla presunzione di essere nel giusto fino a farsi persecutore di quanti, i cristiani, si allontanavano dalla sua interpretazione di giustizia davanti a Dio, convertito, si fa araldo dell'annuncio che tutti senza distinzione siamo bisognosi di Cristo e, come abbiamo sentito, al termine della sua vita confessa: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede". La fede che solo Dio è giusto, giudice, solo Lui è il meritato premio di fedeltà, il termine di una vita interpretata come corsa per raggiungere la meta. Senza questa prospettiva nascono tutte quelle miserie umane dove il degrado comune, aggiunto alle accuse reciproche, diventa il vivere ipocrita al quale ci sentiamo costretti.

23/10/16

Letture: Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14


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don Ezio Stermieri
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