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2/11/16 - Commemorazione dei defunti


Abbiamo or ora udito come l'apostolo Paolo, scrivendo alla prima comunità cristiana di Roma, alla luce dell'evento della morte e risurrezione di Gesù, rassicura loro e noi: "Non avete ricevuto uno spirito da schiavi, – legati alla materialità che come nasce muore – per ricadere nella paura", paura che tutto finisca e questo finire rende la vita una passione inutile, paura del non-senso del tutto.
Paolo ribadisce riassumendo il messaggio di Gesù: siamo figli perché Dio è Padre e, continua, "se figli, anche eredi della vita abbondante", eterna cui Gesù ci ha aperti inchiodando alla sua Croce la nostra morte, il nostro peccato, la legge che ci riduce a sola istintività animale. Il "no" alla morte che è dentro di noi non è altro che il codice di orientamento della nostra esistenza; l'oltre che attraversa tutta la vita è attrazione che Dio ha messo in noi per non implodere in un presente deludente. Siamo parte della creazione per quella tensione che tutto pervade verso il pieno senso e significato del tutto. La sofferenza, il distacco, il lutto, la morte stessa diventa sì "doglia" ma doglia di parto "aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo".
Il "dopo" Isaia, guardando all'evento messianico del riscatto della morte, guardando alla fedeltà di Dio più che all'allontanamento nostro, legge la vita come un fidanzamento, una promessa, un cammino tra alleati verso la festa, le nozze, la mensa, l'agape, parola che dice l'unione tra la mensa e la vita condivisa: "Preparerà il Signore per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande". "E si dirà in quel giorno – quello che noi stiamo anticipando alla mensa eucaristica – ecco il nostro Dio, in Lui abbiamo sperato perché ci salvasse".
In questa prospettiva la vita dei nostri cari non è cosa passata. Ha un presente, ha un futuro. Tutto quello che hanno fatto per amore, con amore e nell'amore per la vita, per il lavoro, per gli affetti, per solidarietà verso i poveri, l'hanno fatto a Lui, al Dio della vita fatto carne perché il nostro essere di carne: aver fame, sete, freddo, limite… diventasse occasione di amore: "l'avete fatto a me". Essi non sono morti ma sono stati chiamati: "Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo". E se ne andranno i giusti alla vita eterna.
Noi siamo qui per questo! Per dire al Signore: eccoci testimoni del bene ricevuto: la vita, l'educazione, la protezione, l'aiuto, l'affetto… E ognuno sa che cosa dire nel riassumere tutto in un "Grazie". Siamo qui perché sicuri che con la preghiera a Dio raggiungiamo anche quelli che sono a Lui ritornati per sentire dal linguaggio della fede che in Dio anch'essi continuano ad amarci ed intercedono per noi. È quanto talvolta nella gioia oltre che con le lacrime affermiamo: "Credo la comunione dei Santi". Credo che l'amore è più forte della morte e così, amando, anche noi giorno per giorno diamo contenuto e forma alla nostra eternità.

2/11/16

Letture: Is 25,6.7-9; Sal 26; Rm 8,14-23; Mt 25,31-46


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don Ezio Stermieri
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