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6/1/18 - EPIFANIA DEL SIGNORE


L'ascolto attento del Vangelo di Matteo in questa festa dell'Epifania, parola che dice manifestazione in piena luce del fatto che forma la pietra angolare di tutta la fede cristiana: "Nato Gesù a Betlemme di Giudea", reca con sé "una grandissima gioia", come quella dei Magi, venuti da lontano che "videro il Bambino, si prostrarono e lo adorarono". Gioia per il mantenimento di una promessa che Isaia aveva visto da lontano: un rivolgersi dei popoli, dispersi e contrapposti, verso un punto della storia e della geografia umana perché quella nascita avrebbe segnato l'avvio di una pagina nuova da scrivere insieme, la storia della pace, la fine dell'inimicizia, il propagarsi di una bella e buona notizia: Dio è dalla parte dell'uomo, alleato fino a farsi uomo per inaugurare una Signoria dove non il depredare ma la cultura del dono (oro, incenso e mirra: sicurezza, trascendenza, umanità) avrebbero tracciato le coordinate della nuova legge.
Letta oggi questa pagina parrebbe una favola, una utopia valida per un giorno. Un'eclissi sembra aver oscurato la stella di Betlemme con il suo messaggio rassicurante. I popoli più che camminare verso un punto comune sembrano alzare i muri. Chi viene da lontano sembra portare insicurezza e paura. Coloro ai quali è stato affidato il futuro sembrano cercare il movente di una guerra capace di mettere a rischio non solo il sistema ma la stessa umanità. Pare che si viva più un esodo da Cristo da parte degli stessi cristiani che camminare verso un rinnovato incontro rifondante. Eppure nella stessa pagina evangelica pare evidente che anche allora l'Erode di turno abbia fatto di tutto per ostacolare il cammino, far vivere l'incontro in quella "casa", dice l'Evangelista, chiamata ad essere casa comune per tutti i popoli.
Niente di nuovo, dunque, neanche l'ipocrisia che dichiara di voler sapere, vedere, per riconoscere, quando invece l'allontanarsi dei Magi per altra strada diventa carneficina dei piccoli di Betlemme, strage degli innocenti per togliere di mezzo Gesù. Coraggio, dunque, la luce della stella che è Cristo ha la capacità di distinguere il bene dal male, la sua nascita mette nel cuore la grandissima gioia di essere stati chiamati alla fede e questo è il giorno nel quale, guardando al Presepe, portare nella vita l'immagine vera del mondo dove le strade convergono verso il punto nel quale riconoscersi figli e fratelli; i tanti lavori sono le diversità che costruiscono il bene comune; l'aprirsi del Cielo ci dice che la vita non è solo ansia, fatica, paura con scarse soddisfazioni perché Colui che è nato ci reca in dono la buona volontà nel saperci amati da Dio.
È il giorno, per dirla con San Paolo, nel quale ricuperare quella fede ricevuta ma poi resa marginale. Fede e fiducia dice l'Apostolo: "Che le genti sono chiamate in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo". Le eclissi del sacro, della dignità dell'uomo, dell'essere partecipi e responsabili di un comune futuro passano. La luce ritorna. La stella brilla. Gesù è nato. Di tutto ciò non solo abbiamo sentito parlare. Siamo qui. Rendiamo grazie felici di essere cristiani e di aver ricevuto il mandato di cercare la sua fisionomia su ogni volto, il suo Spirito in ogni situazione, il suo coraggio per ritornare "per altra strada" alla vita di ogni giorno.

6/1/18

Letture: Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12


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don Ezio Stermieri
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