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14/1/18 - II Domenica t.o. anno B


Si apre davanti a noi un tempo che la Chiesa nella sua liturgia chiama "ordinario", tempo in cui il mistero dell'Incarnazione celebrato permea ed informa ogni aspetto e dimensione della vita quotidiana. Il Natale porta in sé un duplice movimento che ci impegna come Chiesa in una duplice direzione. Una portare Cristo al nostro oggi, consapevoli che anche la nostra contemporaneità ne abbia necessità. La sua venuta ci rivela il volto di Dio che è Padre e dunque non siamo espressione solo della materia di cui siamo composti. Siamo figli e dunque (ed è la rivoluzione cristiana!) fratelli. Ci insegna a guardare alla creazione per cogliere la sua cura e bellezza. Ci insegna a fare della vita preghiera. Ci riunisce attorno a sé estraendoci dal nostro individualismo e facendoci suo popolo, della alleanza eterna con Dio, abbatte il muro della morte e si fa porta per entrare e stare con Lui nell'Amore di Dio. Compito non facile oggi perché il mondo in cui viviamo è distante dal volerlo conoscere, frequentare, diventare creatura a sua immagine che costruisce un mondo nuovo.
Ma nella sua venuta c'è una seconda dimensione, oggi ancora più difficile perché tentati continuamente di essere sufficienti a noi stessi, che è quella di entrare noi nel suo mondo, nella sua mentalità. Ci viene più facile restringere Lui nella nostra ragione, mentalità, bisogno che aprire, allargare la nostra esistenza sulla sua. Appena però ci affacciamo sulla pagina del Vangelo or ora ascoltata, attraverso il Battista (manca oggi questa figura?), che è Lui quello che Dio ci ha inviato e si fa carico dei nostri fallimenti per restituirci alla capacità di non fallire la vita. Ci rendiamo conto che come per i primi discepoli ci sono dei passi da fare, delle domande: dove abiti?, il desiderio che trova il tempo di stare con Lui e ascoltarlo, addirittura segnare l'ora dell'incontro (erano le 4 del pomeriggio). Si tratta di udire e poi ricordare la sua chiamata. Ancora. Non provare vergogna di poter dire con la vita: "Abbiamo trovato il Messia". Come abbiamo ascoltato Egli è Colui che ci cambia la vita: "Tu sei Simone... sarai chiamato Pietro" e così diventare gli uni per gli altri roccia sulla quale è possibile fondare la vita.
Tutta la Bibbia (abbiamo sentito la chiamata di Samuele) è l'intreccio di una chiamata da parte di Dio, e ognuno, anche se in modo diverso, è chiamato, e di una risposta che non varia da quella del giovane Samuele: "Parla Signore perché il tuo servo ti ascolta".
Il seguito di questo dialogo tra Dio e l'uomo – reso sicuro e percorribile guardando a Gesù: Dio in mezzo a noi e uomo che ha l'unico intento: fare la volontà del Padre – lo riassume perfettamente l'apostolo Paolo per i cristiani di sempre: "Il vostro corpo (potremmo dire: la nostra vita concreta) è tempio dello Spirito Santo e voi non appartenete a voi stessi". È la vita cristiana nella sua novità più evidente. Non si vive più per se stessi guardando all'altro in funzione nostra, intenti solo all'avere di più a volte a scapito degli altri. Ecco perché la Chiesa ci è necessaria e Gesù, chiamando a sé, l'ha voluta. Diventa il luogo, la palestra, l'allenamento per non soccombere o naufragare in un mondo che prescindendo da Cristo fa dell'"io" la ragione assoluta del vivere e aprendoci a Dio diventiamo continuazione dell'Incarnazione di Dio nella avventura umana. Domanda San Paolo: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con Lui un solo Spirito".

14/1/18

Letture: 1 Sam 3,3-10.19; Sal.39; 1 Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42


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