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4/2/18 - V Domenica t.o. anno B


A mano a mano che ci inoltriamo nell'ascolto del Vangelo di Marco comprendiamo che cosa vuol dire ricominciare la vita fissando la nostra attenzione su Gesù Cristo, Figlio di Dio. “Uscito dalla sinagoga”, il luogo dove risuona la Parola di Dio nostro alleato, il Dio fatto vicino entra nella casa, allora di Simone, oggi dove noi consumiamo la nostra esistenza. Proprio dove anche noi siamo immobilizzati dalla “febbre”, sintomo dei tanti mali che affliggono la vita. “Egli si avvicinò e la fece alzare, prendendola per mano”, immagine plastica della forza di risurrezione che ci rimette in piedi, risorti, con lo stesso gesto della mano di Dio che ha creato e ricrea l'uomo.
Ci restituisce alla vita che è servizio, facendoci ritrovare le ragioni per cui è bello spendere la propria vita proprio dove si intrecciano i nostri rapporti, i nostri affetti, le tante mansioni che la quotidianità ci chiede. Talvolta però, siamo sinceri, tutto ciò ci appare come una favola bella e la tentazione di ritrovarci nelle parole di Giobbe (prima lettura) ci immobilizza nella inazione. Allora la vita ci riappare “un duro servizio”, tutto diventa obbligo e costrizione i “giorni come quelli di un mercenario”, di uno che non è al comando della propria vita. “Schiavi che sospirano l'ombra” di un riconoscimento, di un “grazie”, il tutto una “illusione” e “notti di affanno” si susseguono alle notti insonni in cui tutto sembra sfuggire di mano, il tutto “svanisce senza un filo di speranza”.
E da questa condizione febbricitante solo una preghiera può smuoverci: “Ricordati che un soffio è la mia vita”. Gesù Cristo è per il credente il “ricordarsi” di Dio. Ne è prova proprio la pagina che abbiamo ascoltato come Vangelo, bella e buona notizia che non Dio si è dimenticato di noi ma che noi, nella tentazione, pensiamo di essere soli nella prova, nel lutto, nella fatica che la vita comporta. Gesù Cristo è il “bene” che pensavamo di non vedere più e che invece, con la sua presenza, rende vicino il Regno, la Signoria di Dio che è forza nel superare il male, è già fin d'ora risurrezione e tutto, come dice S. Paolo, porta al bene per coloro che amano, hanno fiducia, sperano in Dio. Il Vangelo ascoltato ci parla allora di una città intera davanti alla sua porta per essere guariti dai più diversi mali. La sua missione poi non riguarda un frammento della storia umana; quanto annota Marco: “E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni” è registrato dalla prima comunità, attraversa la storia e arriva fino a noi.
Esperienza di guarigione che ci coinvolge come compartecipi della missione di Gesù: “Guai a me – dice S. Paolo – se non annuncio il Vangelo”. È anche oggi una necessità che si impone nei modi più diversificati ma sempre con un atteggiamento di vicinanza, di partecipazione, di discernimento del bene che può ricavarsi da ogni situazione... Con quella carità che Dio ha mostrato donandoci il Figlio e così inaugurando il tempo della fraternità, il cristianesimo.
Il programma di vita di Paolo può così diventare il nostro: “Tutto io faccio per il Vangelo, per diventare partecipe anch'io”.

4/2/18

Letture: Gb 7,1-4.6-7; Sal.146; 1 Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39


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don Ezio Stermieri
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