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Il pressante appello che è risuonato in settimana, il Mercoledì delle Ceneri, di conversione, cambiamento di rotta della vita, di ricuperata veritiera mentalità, di riscoperta sincerità del cuore, di ritorno a Dio, si fa cammino interiore e concreto verso la strada maestra, sulla quale Dio non è problema marginale, dove la differenza tra chi crede e chi non crede non è solo che il credente ha un problema in più che l'ateo pratico ha superato, dove la parola “Dio” conserva residuati di paura, di alternativa alla propria libertà, se non addirittura, come si afferma oggi, principio di divisione, fermento guerrafondaio, avvio terroristico.
Il ritorno, ci dice la sua Parola, è a un Dio alleato, compromesso con la nostra storia e vicenda umana, il quotidiano vivere e perfino il nostro morire, apparente finire. Non un Dio astratto, proiezione dell'io pauroso, bisognoso di certezze e speranze inevase, ma il Dio di Gesù Cristo, il Dio che Gesù Cristo rivela in se stesso. Ed è proprio Marco a dare l'avvio concreto alla necessaria conversione. Lo Spirito, che ha sospinto Lui nel deserto di parole che risanino, di azioni che assicurino, di sentimenti che coagulino senza evaporare, sospinge anche noi, per quaranta giorni.
Annota Marco che “stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”. Con una immagine ci comunica una verità. Con Gesù iniziano i tempi ultimi e definitivi intravisti dai profeti; tempi in cui nulla è più forte dello spirito umano e lo può scalzare ed il Cielo, Dio, si fa alleato, salvatore dell'uomo e della sua esistenza e storia. Con questo squarcio di vita Gesù dà inizio al tempo nuovo, al Regno, la Signoria di Dio: “Il tempo ha il suo compimento e significato; Dio si è fatto vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.
Come mai, potremmo domandarci, noi, uomini di oggi, non vogliamo questa evidenza e constatiamo piuttosto gli innumerevoli pericoli (bestie selvatiche!) che tarlano i nostri pensieri, sbriciolano sentimenti, incattiviscono nel piccolo e nel grande le azioni imprigionandoci ognuno nel proprio “io” sempre in difesa, sempre all'attacco? Abbiamo perso, spento, allontanato Dio, il bene, l'imporsi del vero, del bello, del buono, del credibile e necessario impegno e al buio crediamo solo in ciò che tocchiamo con mano, il piccolo orizzonte di un quotidiano deludente, di un futuro incerto, dell'inevitabile affondare della nostra esistenza.
Abbiamo bisogno come Noè di fronte al naufragare di fidarci di Dio che ci dice di costruire un'arca dove salvare la vita, dove reimparare a convivere, dove navigare verso l'approdo che Dio non manca di preparare. L'arca che Cristo ci chiede di costruire è la Chiesa nella quale risuona la sua parola, si gusta la sua e nostra presenza, dove ci si infervora a preparare il futuro.
L'acqua che sembra tutto sommergere, ci ricorda S. Pietro (seconda lettura), diventa con il Battesimo l'acqua da attraversare uniti a Cristo per raggiungere la sponda della vita eterna. Acqua che ci lava dalle sozzure della storia, ci fa scoprire la bellezza con cui Dio ci ha creati, voluti, amati e redenti e ci fa ricercatori di bellezza più che analisti del tanto o poco sporco che ci circonda. Le parole dell'Apostolo descrivono bene chi siamo, o siamo stati, quello che siamo chiamati in questa Quaresima a diventare. Riascoltiamo: “Un tempo avevamo rifiutato di credere ma Dio nella sua magnanimità pazientava mentre si fabbricava l'arca”. E anche un piccolo numero era ed è garanzia di un Dio amico e alleato, inizio di una salvezza per tutti.
18/2/18
Letture: Gn 9,8-15; Sal.24; 1 Pt 3,18-22; Mc 1,12-15