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17/6/18 - XI Domenica t.o. anno B


Il contesto culturale, chiamiamolo il mondo, in cui siamo posti non è di aiuto a vivere la pagina del Vangelo or ora ascoltata. O inibisce la possibilità di parlare di Dio (non abbiamo linguaggio adatto) e ci confina nell'agnosticismo o riconduce Dio nei confini del nostro pensiero, dei nostri sentimenti, frustrazioni, sensi di colpa... facendo di Dio la proiezione del nostro “io” collettivo o individuale. Il risultato nel contesto ecclesiale è il pendolarismo fra la gnosi che ritaglia Dio nella presunzione del conoscere e il pelagianesimo che fa di Cristo e del cristianesimo un fenomeno umano e precipita nell'angoscia di una salvezza auto-guadagnata, senza dono, Grazia, iniziativa di Dio.
Dal Vangelo odierno, dalla predicazione di Gesù sul Regno di Dio e tutto ciò che è intrinseco a questa parola parte dalla iniziativa di Dio. Noi siamo (e non è poco!) collaboratori, risposta. È Dio, in Gesù, che getta il seme sul terreno che è la vita, la storia, la vicenda dell'uomo. È Dio il mietitore della nostra vita di quel terreno che dobbiamo rendere adatto alla crescita in noi della sua Parola. È Dio che semina il granello di senape, quella fede, speranza e carità: la stessa vita divina che deve diventare in noi fraternità, accoglienza, coraggio perché chi ama la vita trovi in noi, tra di noi la condizione per trasmetterla, proteggerla, educarla. È sempre Dio in Gesù che ci dona la parabola, il punto interpretativo della vita perché tutto, ogni momento, spazio, situazione bella o brutta diventa rimando a quello che è il senso, l'orizzonte, lo stile di vita cristiano: l'alleanza con Dio in Cristo di cui diventiamo collaboratori, suo popolo. Proprio come allegoricamente Ezechiele nell'Antico Testamento vede l'alleanza tra Dio e il suo popolo. È Lui che prende dalla vita dell'albero dell'umanità il ramoscello che “metterà rami e frutti e diventerà un cedro magnifico”.
È vero. Può succedere che il cristiano si senta un esiliato quando la fede che ci identifica è sospettata di essere alienante dalla storia, narcotica delle fatiche; quando all'interno dello stesso credere si osserva che per potersi dire “moderni” si è disposti a strappare intere pagine del Vangelo e quella di oggi è tra le prime con il suo riconoscere il primato di Dio anziché il narcisismo egocentrico dell'uomo. È vero, a volte il seme della Parola si confonde con gli infiniti “input”, sollecitazioni di ogni giorno. È quello il momento per portare alla mente quanto Paolo ricordava ai cristiani di Corinto. “Sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio... ci sforziamo di essere graditi al Signore”. Consapevoli come siamo che è sicuro il nostro incontrarci con Lui: “Tutti dobbiamo comparire davanti a Lui per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute”. Perso questo orizzonte è illusorio immaginare un più puntuale impegno nella vita. È sotto i nostri occhi l'arrembaggio del potere in vista dell'avere, l'arroganza dei tanti “io” contrapposti. Che cosa è successo? È stato tolto, come a certe sementi che non possono essere trapiantate, il principio vitale del seme della vita e l'uomo, la società può essere solo consumata ma senza Dio non trova la ragione del trasmettere se stessa.

17/6/18

Letture: Ez 17,22-24; Sal 91; 2 Cor 5,6-10; Mc 4,26-34


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don Ezio Stermieri
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