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2/11/18 - Commemorazione dei defunti


"Fratelli, la speranza non delude". Così ci aggrega il Signore in questa celebrazione di memoria dei nostri cari. Così Paolo rincuorava la prima comunità cristiana di Roma e aggiungeva il perché: "L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori". Ci riunisce l'amore che non muore perché sostanza del Dio vivente ed è lo stesso amore con il quale siamo stati amati da quanti ricordiamo e che abbiamo ricambiato, se no non saremmo qui.
È vero! Di fronte alla morte siamo messi al bivio della disperazione che con la presenza fisica abbia poco alla volta a venire anche a mancare il legame del pensiero, dell'affetto, della gratitudine ma siamo invitati a fare nostra la certezza di Giobbe di cui ci ha narrato la prima lettura. Privato della sicurezza del vivere con la perdita delle sostanze, uccisi tutti i figli, roso da un cancro che lo divora, maledetto dalla moglie, fa della disperazione un grido di speranza nel solo che non abbandona: "Io so che il mio redentore è vivo. [...] Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio".
Ci aiuta a superare la tentazione del nulla e dello sprofondarci Gesù stesso che dall'altra parte del bivio, al termine del perché della sua venuta, nel momento stesso in cui sta per dare la vita per strapparci dall'idea della morte e svelare quanto per noi è enigma e mistero, ci confida: "Questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto Egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno". Il giorno "ultimo" non è dunque di sconfitta, non è caduto nell'acqua che annega, dissoluzione del nostro essere. Ultima verità sulla nostra vita è l'essere stati chiamati nel tempo per dilatare il nostro essere, la nostra vita di pensanti, amanti, capaci di bellezza, di bontà, di gratuità, di dono, di sacrificio, di relazione e reciprocità per essere capaci di Dio, oceano di ogni bellezza eterna, bontà infinita, dono che supera le nostre deboli categorie mentali, sentimenti intermittenti, azioni svogliate: compimento illimitato del nostro limite.
A questo punto i nostri cari ci fanno, mentre li pensiamo e ne avvertiamo la nostalgia, il regalo più grande. Ci invitano a non sprecare la vita, a non pensare e dire: tanto tutto finisce, a non desiderare, in certi momenti, il non esserci per non soffrire ma a fare della nostra debolezza il lancio oltre l'ostacolo della nostra speranza: "Quando eravamo ancora deboli – ci ha ricordato San Paolo – Cristo morì per gli empi", per noi che abbiamo dubitato dell'unica verità certa: se Dio ha amato questa umanità di cui siamo individui, e che talvolta ci appare così sudicia, egoista, fedifraga, vuol dire che sa di noi quanto con facilità dimentichiamo. Ci ha fatti "liberi", non necessitati dal vivere e dal morire. Liberi nel cercarlo, trovarlo, seguirlo, amarlo, fargli posto in quella parte di noi che non muore perché voluti ad immagine e somiglianza sua, ad immagine e somiglianza del Figlio che attraversa la morte e risorto si presenta con una sola parola: Pace! Serenità dunque, sicurezza da quella fede che i nostri vecchi ci hanno trasmesso con l'esempio del vivere e l'abbandono in Dio nel morire. Facciamo nostre le parole dell'Apostolo: "Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione". Sì! Riconciliarci con la vita e con il morire, condizione per vivere con i nostri cari Cieli nuovi e una nuova terra.

2/11/18

Letture: Gb 19,1.23-27; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40


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don Ezio Stermieri
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