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11/11/18 - XXXII Domenica t.o. anno B


Ci avviamo verso il termine dell'anno liturgico, anno nel quale la Chiesa ci ha posto in ascolto del Vangelo di Marco. Anche noi come la prima comunità cristiana ci siamo lasciati coinvolgere dal suo intento di fare della vita un ricominciare da Cristo per rendere il più possibile credibile il nostro essere cristiani.
Gesù nella pagina odierna è ripreso nel tempio, luogo che ci riconduce nell'interiorità, dove la coscienza secerne le motivazioni ultime del nostro agire. "Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava le monete". Siamo dunque sotto lo sguardo di Gesù che conosce quello che c'è nel cuore dell'uomo. L'insegnamento è immediato: "Guardatevi dagli scribi", che rappresentano in ogni epoca i maestri di pensiero, i detentori della chiave del successo, i condizionatori del sentire e dell'agire delle masse: "Amano passeggiare" per farsi riconoscere e fare tendenza, sono arrampicatori dei più svariati poteri, ambiscono ai salotti, alle lobby che indirizzano l'agire comune… "Divorano le case delle vedove" e non disdegnano neppure processioni e condizionare i luoghi religiosi. Una società basata sull'apparire e, quando si dà il caso, apparire con prepotenza esibendo il peggio di quanto l'uomo può trarre dal suo essere libero.
Gesù osserva anche una vedova che rappresenta il limite, lo scarto di una società cicala. Mette nel "tesoro", simbolo religioso e civile, "tutto quanto aveva per vivere". Non c'è altra strada per dirsi cristiani se non mettere se stessi nel "tesoro" della vita e nel "tesoro" della fede. Allora non ha più importanza il criterio dell'avere, del potere, dell'interesse. È difficile convincersi che questa sia la verità sulla vita quando appena fuori i criteri spingono in tutt'altra direzione. Ma non siamo giunti al punto in cui i valori più autentici, più necessari e anche più costruttivi sarebbero proprio quelli del Vangelo?
A questa conclusione, ce lo attesta il libro dei Re (prima lettura), era già pergiunta anche la sapienza ebraica. Elia chiede alla vedova di Sarepta di guardare più alla sua piccola possibilità di fare del bene (un tozzo di pane e un po' d'acqua) che alla disperazione che provoca la sua miseria, e quel piccolo gesto pone l'avvio di una nuova vita, di una rinnovata fiducia.
Per noi che siamo determinati a guardare a Cristo per ricominciare da Lui non rimane che fare nostra la pagina della lettera agli Ebrei, or ora ascoltata: Cristo non ha salvato dal di fuori l'umanità con nuove dottrine, nuove imposizioni, minacce di castighi, ricatti o sensi di colpa. Né annientandoci con l'onnipotenza divina. "Mediante il sacrificio di se stesso… offerto una sola volta per togliere il peccato". Solo davanti a Lui possiamo misurare la nostra insufficienza nel salvare uno stile di vita così lontano da Dio e divisivo tra gli uomini e quanto quel poco o tanto che siamo (non che abbiamo, soltanto!) può innescare meccanismi che diventano il tesoro per arricchire di bene i rapporti umani, sanare le ferite al di dentro delle famiglie, sentirci non inutili o marginali ma importanti e dunque felici e generosi nel fare qualcosa.
Penso, io, che tutte quelle persone importanti che nel tempio esibivano la loro superiorità non siano uscite dal tesoro del tempio più felici ma sono portato a credere che quella povera vedova sì.

11/11/18

Letture: 1 Re 17,10-16; Sal.145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44


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don Ezio Stermieri
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