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16/12/18 - III Domenica di Avvento anno C


Se in ascolto della Parola di Dio ci stacchiamo per un momento dalla nostra idea del Natale, frutto del nostro vissuto, del gran darsi da fare del mondo circostante in pensieri che si dilatano ed elencano persone da gratificare, acquisti da assommare, sentimenti da far vibrare... e cerchiamo per una volta l'essenziale racchiuso in una parola che dice inizio, dice vita, reclama gratuità, riscopre la reciprocità, ma si allarga anche all'accoglienza della vita, ne dischiude il senso, i valori, l'orizzonte, arriviamo ad una ulteriore parola che contiene il tutto: gioia.
Sì, il Natale deve essere la gioia che Dio si sia chinato sulle troppe lacrime dell'umanità e la gioia di Dio quando trova che l'uomo, voluto e creato per essere partner libero del rapporto con Lui, accetta l'alleanza e fa della vita un impegno perché la terra da deserto ritorni giardino, Eden iniziale. Abbiamo sentito quanto questo sia stato vero, sia diventato attesa e speranza, gioia anticipata per il popolo dell'antica alleanza. "Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, acclama", il Signore ha revocato la tua condanna all'implosione, alla guerra continua, alla paura della vita, ha disperso il tuo nemico. Non temere, non scoraggiarti, Dio è in mezzo a te. Gioirà per te.
Nessuna delle cose di cui possiamo riempire il Natale è sostituibile a questa gioia intima, messa nel segreto da Dio stesso come desiderio, attesa, nostalgia, speranza e nessuna delle cose ha senso vero se non è intrisa dalla gioia del dare e del ricevere, dell'accogliere e del visitare, dell'imbandire la mensa e dell'essere ospiti. Nessuna cosa della vita ha sapore senza il sapere che non siamo soli, abbandonati in mezzo a galassie che si dilatano, se non veniamo a sapere che chi ha creato il tutto ama ciascuno e, per dirla con Gesù, quando ci smarriamo viene a cercarci, ci pone sulle spalle perché affaticati e si rallegra perché ci lasciamo trovare e condurre.
Quando questa gioia è diventata reciprocità, perché la Nascita di Dio alla storia da preghiera è diventata esperienza, ha coagulato le prime comunità attorno a Gesù Cristo e quella gente si è data una sola parola d'ordine: "Fratelli, siate sempre lieti. Il Signore si è fatto vicino. Non angustiatevi. Dio custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù".
A questo punto, è il Vangelo di Luca a suggerircelo, è superata la inquietante domanda che angustia buona parte della vita: che cosa dobbiamo fare. Che cosa fare per essere felici. Il Vangelo registra che se lo domandavano le folle, quanti avevano sbagliato vita, perfino i soldati che con le loro armi turbavano il bisogno di pace. Non è questione di "fare", demandando a qualcosa o a qualcuno il compito di renderci felici. Si tratta di "essere" persone che condividono qualcosa di più dei vestiti smessi: intelligenza, cuore, competenze, tempo, amicizia. Persone che non solo non maltrattano, ricattano, colpevolizzano ma interiormente buone, generose, empatiche, oltre dunque le simpatie ed antipatie. Persone che non pretendono ponendo il proprio "io" affamato ed esigente alla base dei rapporti ma che hanno sperimentato quanta gioia ci sia nel comunicare, più ancora che nel ricevere.
Del resto Giovanni, abbiamo sentito, dice chiaramente che Colui che viene non ci raggiunge con cose da portare: dottrine, ascesi, ginnastiche, diete a garanzia di gioia e felicità; porta un fuoco che brucia le scorie del malessere, scalda i cuori intimiditi, illumina le confusioni mentali, rinvigorisce dalle depressioni, accende il fuoco per la convivialità. Porta la Gioia perché è la gioia dell'uomo.

16/12/18

Letture: Sof 3,14-18; Sal.Is 12; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18


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don Ezio Stermieri
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