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2/6/19 - ASCENSIONE, anno C


"Ascende il Signore tra canti di gioia". Il canto è la gioia del cristiano che in questo giorno fa suo in pienezza il Mistero svelato dell'Incarnazione, il perché, in Gesù riconosciuto il Cristo, l'amore del Padre entra nel vivo della nostra storia recandoci il Vangelo; prende su di sé la nostra malattia; ci guarisce dal peccato e dalla morte; ci lascia il suo Spirito di risurrezione che diventa acqua che lava, sangue che rigenera, pane che sfama, amore che consacra l'attrazione umana, popolo che rigenera la difficile convivenza tra i popoli. Ebbene ci è detto il perché, racchiuso in questo giorno, dell'attuarsi del progetto di Dio. Lo ricordiamo con le stesse parole di Gesù: "Vado a prepararvi un posto. Ritornerò e vi porterò con me perché siate dove sono io". "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno". Questa certezza diventa il contenuto, la ragion d'essere della nostra presenza, la testimonianza da rendere fin dove c'è un uomo che l'attende. Non siamo testimoni di una verità che illumina il breve segmento di tempo del nostro peregrinare in questo mondo, di una morale capace di superare i conflitti, una religiosità che attende conferma di una trascendenza. Ci facciamo narranti di quanto è avvenuto e il Vangelo riferisce: "Li condusse fuori, alzate le mani li benedisse, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo".
È da quel momento che è iniziata l'avventura cristiana nel fluire delle generazioni così ben descritta negli Atti e, a ben leggere, ogni particolare sottende la nostra vita di fede. "Mentre lo guardavano". Non c'è altro modo di essere o fare che non parta dal guardare a Cristo. "Fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi". La contemplazione di lui diventa compito di cercarlo dove Egli si rende visibile e incontrabile. "Questo Gesù, verrà".
Non esiste un cristianesimo fatto di solo distaccato contemplare. Non esiste un cristianesimo da inventare in sua memoria perché il suo ritorno ci chiederà conto dei nostri passi sulla terra se avremo riconosciuto la sua fisionomia in quell'"Io ho avuto fame, sete, nudità, rifiuto". "Ogni volta che l'avete fatto al più piccolo l'avete fatto a me". La solidarietà umana, la fatica per la giustizia, la sofferenza per la verità, la coerenza nella propria identità, il discernimento del bene ovunque si trova non ha più la misura nella coscienza dell'uomo che supera la tentazione dell'egoismo, ha la misura di Dio, del come in Gesù si è fatto carne, del fare della vita un dono, del credere nell'umanità anche quando tutto si fa delusione, fallimento, tradimento.
Così la lettera agli ebrei che abbiamo ascoltato, prima catechesi della cristianità, riassume per la pienezza dei tempi l'entrata di Dio nel santuario della nostra coscienza per annullare il peccato e diventare "via nuova e vivente". E conclude: "Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso".
Il testo, la musica della lode che si fa Eucaristia, è dunque la nostra stessa vita nel concreto di ogni giorno. Con qualche stonatura forse, con qualche silenzio che sospende per incapacità la melodia, anche fuori tempo per un indebito rallentare o precipitare… Ma qui, la vita, non è che una prova. Il concerto finale, ce lo dice la festa di oggi, sarà legato al ritorno di Colui che oggi ci precede. Allora, come ricordava San Paolo ai primi cristiani di Roma, ogni lingua renderà gloria a Dio.

2/6/19

Letture: At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28;10,19-23; Lc 24,46-53


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don Ezio Stermieri
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