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18/8/19 - XX Domenica t.o. anno C


Mi piace, avviandoci alla riflessione sull'odierna parola di Dio, rifarmi al contesto della struttura che ci ospita, la nostra chiesa. Essa ricalca perfettamente quanto ascoltato nella lettera agli Ebrei (12,1-4). È come se chi l'avesse ideata avesse sottomano il testo. È fatta a stadio, quando fin dall'inizio i cristiani lottavano e correvano. La vita è corsa e lotta. Ma, dice l'autore, non dobbiamo sentirci abbandonati. "Circondati da una moltitudine di testimoni". Sono i santi che ci circondano, vittoriosi ci incitano a non desistere. Loro e noi, "tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento", constatiamo che Lui è il Signore, non gli "imperatori" di turno che decidono con un pollice la vita o la morte. Lui che ha preso su di sé la nostra morte e ci conduce nel Regno della vita; nel tempo per non cadere schiavi di niente e nessuno e nella vita eterna dove Egli siede alla destra del trono di Dio.
È dunque qui che è custodito il fuoco del suo e nostro battesimo, immersione nell'acqua che restituisce alla nostra vera identità, immagine di Dio e fuoco che brucia le scorie dell'egoismo e della inimicizia, riscalda il cuore e il buon volere, fuoco dell'amicizia e della famigliarità. Qui Egli, il risorto, ci aiuta ad allineare i valori della vita per non cadere nella schiavitù di se stessi, dell'altro o del sistema che regolamenta fin nei dettagli il vivere quotidiano. Egli non è venuto a portare la pace del pensiero unico, del politicamente corretto, della ragione che media il proprio "io" a norma di tutto. Egli porta la divisione ma non per vivere in perenne tensione, dissenso, contrapposizione a qualcuno. Una divisione in se stessi, una lotta contro quella parte dell'io che vuole diffondere e allargare i propri diritti dimenticando che il nostro "io", la nostra identità più autentica, è relazione, reciprocità, comune costruzione della vita con le sue priorità. Partendo da Lui è autentico l'amore in famiglia, nella società dove ognuno con il proprio ruolo e compito edifica il bene comune, la casa comune, il futuro dove ognuno trova il suo spazio e investe il suo tempo.
Questo noi abbiamo dimenticato nella illusione che nei tempi difficili, se ognuno pensa a sé stesso, dai tanti egoismi germogli il bene comune. Al contrario nasce la lotta tra i poveri che ci sono e i poveri che arrivano, spunta l'egoismo tra famigliari per pochi averi da spartire, cresce a dismisura la lotta per il potere sugli altri, fosse un intero paese, dimenticando che il potere è servizio e la sua norma prima è il partire da quanti fanno fatica e sono incolpati della loro povertà.
Tradurre nel concreto secondo le proprie possibilità questa legge di vita non è facile quando la politica non è partecipazione responsabile ma demandare a qualcuno l'ordine da fare. Abbiamo sentito di Geremia: "Si metta a morte Geremia" perché va controcorrente, denuncia il veleno che paralizza la società, dice che non la "polemis" produce giustizia, che anzi rende asfittico il vivere, ma il ritorno a quel fuoco che rischiara, illumina le armi che abbiamo in mano e ingiunge di farle cadere ed invita ad unirci attorno al fuoco del "buon volere" amato da Dio.
In questo luogo che ricorda il combattimento della vita, guardando al Signore crocifisso per amore, si apre la strada per la vita nuova di cui siamo testimoni e costruttori.

18/8/19

Letture: Ger 38,4-6.8-10; Sal.39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-57


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don Ezio Stermieri
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