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17/11/19 - XXXIII Domenica t.o. anno C


Un anno dietro Gesù, come discepoli alla sua scuola con Luca come ripetitore, penso che abbia convinto ciascuno che l'insegnamento di Gesù non è riconducibile all'ora di religione, di quando a scuola tra le più diversificate discipline c'era, per chi voleva, l'ora di religione. Quella di Gesù è dottrina dell'esistenza, è ethos della vita.
Siamo ormai al termine del cammino dalla Galilea a Gerusalemme che per Luca diventa paradigma, grammatica, sapienza dell'esistenza. "Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e doni votivi". Non si tratta di sguardo estetico; quello sguardo riassume il legame con quel tempio, quello che significa per quel popolo. È un tempio ricostruito, il secondo tempio, dopo l'esilio a Babilonia. Evoca un ritorno, certifica la fedeltà di Dio, è lì a ricordare l'identità di tutto un popolo, la sua storia di lacrime, sospiri, ritorno, ricominciare. Dice la tenacia di Dio e di un popolo, dice l'Alleanza. E Gesù ricorda un'altra verità: "Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciato pietra su pietra". La verità più profonda sta nel fatto che al di là degli sconvolgimenti storici, naturali, culturali e perfino religiosi, nella provvisorietà di tutto quanto ci circonda e della nostra stessa vita, perfino nella persecuzione, nel martirio, Dio rimane e la fede in Lui è la roccia che ci impedisce di sprofondare nelle tante morti e nel morire ultimo del breve tempo della vita. "Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto". Questo l'insegnamento di Gesù. Il senso delle parole lungo la strada, che non va solo dalla Galilea Gerusalemme ma attraversa il percorso delle età della vita con le malattie, gli scoraggiamenti, la tentazione che la vita sia una passione inutile, la condanna a ricostruire quanto puntualmente è distrutto. "Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita".
Ecco che cosa, oggi, è venuto a mancare nella cultura del tutto e subito, del diritto senza doveri se non quelli degli altri: la perseveranza, degna di essere perseguita, a tutti i costi, perché lì è Dio, non nelle realizzazioni compiute ma nella perseveranza del raggiungere. Lì dobbiamo recuperare la gioia, nel diventare, nel costruire, nell'attesa di compimento, nel trasformare l'incertezza e precarietà del momento storico che viviamo nella possibilità di essere architetti, ingegneri, artefici di questo mondo che nell'esperienza della discontinuità, sperimenta la "continuità" di Dio.
Uscire da questa visione, ci ricorda Malachia, è essere esposti alla tentazione della via facile dell'ingiustizia. Rimanere fedeli è sperimentare: "Per voi che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia". Sempre, anche oggi, nei momenti di instabilità e crollo delle tradizionali sicurezze si danno "alla vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione". Sempre nel disorientamento, qualcuno che vive oziosamente organizza, nel piccolo e nel grande, il mercato nero dell'usura. Ma non è questa la vita cristiana. Il cristiano sa che nulla è più provvisorio del definitivo e sa, sperimenta nel lavoro, nella fatica, nell'instabilità, la fedeltà definitiva di Dio che dall'esilio chiama alla libertà, nel deserto indica la strada, nella Terra raggiunta insegna la fraternità e l'ospitalità, nelle contrapposizioni violente consegna la sua legge. Proprio quando si dice: Dio non c'è, Egli si pone sulla nostra strada, guarda ciò che noi guardiamo e ci indica la prospettiva giusta per aver salva la vita.

17/11/19

Letture: Ml 3,19-20; Sal 97; 2 Ts 3,7-12; Lc 21,5-19


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don Ezio Stermieri
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