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9/2/20 - V Domenica t.o. anno A


"Gesù disse ai suoi discepoli". È l'evangelista Matteo a guidarci per un intero anno liturgico a risalire dal Cristo della fede al Gesù della storia. Proprio lui, il chiamato mentre svolgeva il suo mestiere di cambiavalute da una Parola senza deroghe: "seguimi!", il catecheta che ci convince a fare del cammino quotidiano della nostra vita una sequela di Gesù, del suo Vangelo, del diventare nel mondo di oggi prolungamento della sua missione.
È Cristo il sale della terra. Non c'è insegnamento più radicale ed esaustivo del sapore che deve avere la vita e, posto Lui come senso, qualità, orizzonte dello scorrere degli anni, ci dice: "Voi siete il sale della terra". Non siamo dunque voluti per rimanere nel barattolo delle nostre sicurezze, tradizioni, ripetitività, ma, senza perdere l'identità del chi siamo, diventare, dove siamo posti, ragione, sentimento, volontà, operatività che qualifica ogni ambiente, ogni scelta e condizione di vita.
Cristo è luce del mondo. Tutta l'incarnazione, celebrata nel Natale, è narrata come una luce che rischiara l'umanità che al buio perde il senso dell'umanità, si perde nei labirinti della ragione, si arma per paura di chi non vede ma percepisce come nemico. E Cristo dice a noi, suoi discepoli: "Voi siete la luce del mondo". Se ci illudessimo di brillare, come Chiesa, di luce propria, finiremmo per diventare una società filantropica, una potenza contro altri poteri o entreremmo in quella insignificanza che fa presagire la fine, la inutilità dei cristiani nella dialettica dove vince il più forte, non ci si basa sulla forza dell'amore, il più adatto e non ci si mette dalla parte del debole, il più furbo e non il sapiente che sa leggere il creato, la storia, l'uomo fatto ad immagine di Dio. No. Non siamo noi la luce ma Cristo ci rende luminosi ed è vinta la nostra opacità. "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano"! Diventare discepoli non è dunque seguire una dottrina divenuta astratta, fare cose, riti di cui facilmente si perde il senso. La novità di Cristo consiste in una religione, legame esistenziale, dove e quando tutta la giornata prende il suo sapore e acquista la sua luminosità.
Già nell'Antico Testamento, Isaia andava dicendo che Dio non vuole un'appartenenza a Lui distaccata, separata dal concreto vivere: "Non consiste forse ciò che io voglio" nel condividere il pane, accogliere, introdurre, dare dignità (il vestito), essere legati ai propri famigliari? Solo allora se invocherai il Signore, Egli dirà: eccomi! Se toglierai, senza demandare il compito ad altri, ma cominciando da te, l'oppressione, il puntare il dito, il parlare empio "allora brillerà fra le tenebre la tua luce, (perfino) la tua tenebra (nessuno è perfetto!) sarà come il meriggio".
Allora comprendiamo l'insistenza di Paolo ai Corinzi: "Quando venni in mezzo a voi… ritenni di non sapere altro se non Gesù Cristo e Cristo crocifisso". È dalla Croce che il crocifisso Gesù illumina in piena luce di che amore siamo stati amati, fino a che punto Dio Padre abbia avuto cura di noi. Ed è sempre dal Crocifisso che si illumina la strada da prendere per non immettersi sulle vie di infinite guerre, la Parola da offrire che non divida ed umili ma mostri il cuore, più intelligente dei tanti ragionamenti, lo spirito con cui affrontare la vita in un mondo dal fiato corto, ansimante nel procedere perché ha dichiarato insignificante e inutile la Croce di Cristo.

9/2/20

Letture: Is 58,7-10; Sal.111; 1 Cor 2,1-5; Mt 5,13-16


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don Ezio Stermieri
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